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Mik, l'unico cristiano ritornato a Mosul "L'odio contro di noi non è mai andato via"

Mikhail Betun è il solo rientrato dopo la fuga dall'Isis: "Non dimentico chi li incitava a punirci"

Mik, l'unico cristiano ritornato a Mosul "L'odio contro di noi non è mai andato via"

Mosul Nessuno sa se Mikhail Sadallah Betun, 63 anni, sia il primo o l'ultimo cristiano di Mosul. Di certo è uno dei pochi tornati a viverci. É l'unico a dormire nella «Città Vecchia», a pochi passi dalle rovine di Al Tahira, la chiesa siro cattolica accanto alla quale il Papa pronuncerà oggi la sua preghiera. «Se avessi una moglie o un figlio non li porterei qui neppure io, ma non ho nessuno. Per questo quando l'Isis è stato sconfitto sono stato fra i primi a rientrare nella mia città. Speravo di ricostruire la mia abitazione riaprire il mio negozio di fotografo. Ma m'illudevo. Non mi hanno lasciato fare niente. Dovevo ascoltare gli altri cristiani, quelli che ancora oggi si guardano dal vivere tra queste rovine» borbotta Mikhail mentre ti mostra il palco papale eretto tra le macerie di Hosh Al Bieaa, la piazza della Chiesa. Ma quanti dei 50mila cristiani che abitavano a Mosul e dintorni sono tornati alle loro case? Nessuno lo sa con precisione. E anche chi potrebbe saperlo come padre Emmanuel Kallo, unico sacerdote ritornato in città, si guarda bene dal raccontartelo. «Diciamo - spiega con una certa vaghezza - che circa 130 famiglie hanno incominciato a tornare, ma molte stanno ancora dall'altra parte del fiume o stanno verificando se ci siano già le condizioni per un trasloco definitivo e in pianta stabile». Ovviamente dietro tanta vaghezza si cela la necessità di garantire la sicurezza di chi vuole rientrare. Soprattutto in un quartiere dove l'Isis aveva i suoi quartieri generali e dove poteva godere di molti appoggi. «Io - ricorda Mikhail - ero qui quando l'Isis ha sfondato le porte di Al Tahera, la chiesa siro-cristiana e non ho visto nessun musulmano tentare di fermarli. Non ho visto nessuno urlargli di non distruggere la croce o di non bruciare i libri sacri. Invece ho visto troppa gente applaudire. Non ho dimenticato chi chiamava liberatori gli emiri dello Stato Islamico, chi li incoraggiava a dar una lezione a noi cristiani. E, lo confesso, qui a Mosul continuo a vivere con un certo disagio perché percepisco ancora l'odio per noi cristiani».

Le percezioni di Mikhail non sono condivise da padre Emmanuel. «É vero subito dopo la sconfitta dell'Isis molti cristiani ripetevano che non sarebbero mai più tornati a vivere da queste parti. La gran parte di loro diceva di sentirsi tradita dai musulmani. Quella, però, era la voce della paura e della rabbia. Adesso l'Isis qui in città non esiste più e i cristiani non sono più minacciati. É venuto il momento di fare quel che dice la legge di Dio e perdonare. Una volta per tutte». Mikhail non sembra di quell'idea: «Io sono stato tra i primi a tornare - racconta - ma se devo esser sincero non ho fatto un grande affare. Questa casa nella Città Vecchia non è la mia. Me l'ha prestata la Chiesa perché la mia è stata distrutta nei combattimenti. Speravo di rimetterla a posto e tornare a viverci invece le autorità hanno fatto di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote.

Dopo mesi di attesa mi hanno fatto intendere che non avrei avuto un soldo di risarcimento. Sei cristiano - mi hanno detto - se ti diamo il rimborso rimetti a posto la casa, te la rivendi e te ne vai all'estero con i nostri soldi»

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