Non a caso Macron lo ha definito «eroe». E per il milione di persone infreddolite e addolorate che ieri si sono ritrovate sugli Champs Elysées «Johnny è la Francia» tout court. Più che un rocker, un padre della Patria. Anzi uno degli ultimi simboli capaci di trasmettere la grandeur francese agli stessi francesi, più ancora che all'estero. Sessant'anni di carriera. La sua musica sempre accesa nei momenti chiave della nazione, che fossero la morte di Mitterand, o la coppa del mondo di calcio vinta oppure i funerali delle vittime abbattute dagli attentati. Per i puristi del rock, Johnny Hallyday era una versione tinta e stinta di Elvis o di Gene Vincent, insomma di quei fondatori del genere musicale che non può parlare altro che in inglese.
Invece per i francesi è il testimone della «francesità» più ideale che concreta, più sperata che vissuta, così «bello come un dio» ma anche così ribelle da ritrovarsi al funerale una sciame immenso di Harley Davidson guidate dai veri «harleysti» rimasti orfani del capofila. Perciò non è un caso se tutti i commentatori riconoscono nei funerali di Johnny Hallyday un evento unico o, per lo meno, non riconducibile a nessun altro grande evento commemorativo in tempi moderni. Qualcuno, andando forse troppo oltre, ha ricordato che solo a Victor Hugo sono stati concessi L'Arco di Trionfo e l'onore plateale, oceanico di una nazione. Ma forse allora la Francia era «più» nazione, più coesa, più desiderosa di ritrovarsi in un volto, in un simbolo. Adesso, così sbrindellata come tanto Occidente, ha voglia di riprovare le stesse emozioni, la stessa fratellanza ecumenica e incontestata di qualche decennio fa. E quindi balli e canti e lacrime per «il fratello Johnny» onorato forse più adesso che negli ultimi anni di vita, quando certe sue uscite pubbliche o qualche consueta esagerazione aveva scavallato il confine della nostalgia per i vecchi tempi planando verso il folclore.
Però ieri alla Chiesa della Madeleine si è celebrato il funerale di un'epoca e si è ritrovata la Francia unita come quasi nessuno si sarebbe aspettato. Il rock si è sostituito all'idea di Patria, è diventato il collante di un abbraccio inatteso ma forse desiderato e necessario proprio perché tra anime orfane.
I francesi azzoppati dal terrore e dalla crisi hanno perso quel senso di «grandeur» che li ha resi riconoscibili in tutto il mondo e hanno afferrato, tutti insieme inconsapevolmente, la prima occasione per ritrovarlo. Così il richiamo della Patria per una volta, come d'incanto, si è sovrapposto a quello di una canzone rock.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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