Le minacce mafiose a Saviano? Erano quelle di un avvocato...

Assolti i boss dei casalesi Bidognetti e Iovine, per le intimidazioni è stato condannato il loro legale. Ma lo scrittore esulta: «Sentenza storica che cambia il corso del diritto»

Le minacce mafiose a Saviano? Erano quelle di un avvocato...

Le minacce c'erano, ma i boss non c'entrano. È una sentenza minimalista, che non lucida il monumento a Roberto Saviano, quella del tribunale di Napoli che condanna a un anno l'avvocato Michele Santonastaso ma assolve a sorpresa i boss Francesco Bidognetti e Antonio Iovine. La letteratura giudiziaria, un vero e proprio genere nato con Gomorra , avrebbe voluto il pacchetto completo: una pena esemplare per tutti e tre. Ma in aula non si pesano le suggestioni e nemmeno l'alone, di laica santità o di diabolica malvagità, delle vittime e degli imputati. No, i dibattimenti si fanno solo per accertare i fatti. Nel 2008, dunque, nel corso del dibattimento Spartacus l'avvocato, codifensore di Bidognetti e Iovine, quest' ultimo oggi pentito, lesse in udienza una lettera firmata dai due boss in cui si chiedeva il trasferimento del procedimento in altra città per legittimo sospetto. Schermaglie. Perfettamente legittime. Il problema è che il legale aggiunse a braccio alcuni riferimenti minacciosi nei confronti di Saviano e della giornalista del Mattino Rosaria Capacchione, coraggiosissima cronista da sempre in prima linea nel denunciare gli orrori di Gomorra e le malefatte dei clan. Evidentemente in attesa delle motivazioni, si può ipotizzare che non sia stato provato il nesso fra i camorristi e il loro avvocato. Punto.

Saviano vede il bicchiere mezzo pieno: «Non sono imbattibili, non sono invincibili e la sentenza lo dimostra». Poi, ragionando sul clima generale che si respira nel Paese, vede il bicchiere mezzo vuoto: «L'Italia è un Paese complicato. Non ho la sensazione che la battaglia antimafia sia una priorità». Infine lo scrittore torna ai suoi scenari classici, la saga interminabile del corpo a corpo fra il bene e il male. Il caso sarà anche stato declassato ma Saviano non rinuncia a misurarlo con il suo metro: «I casalesi si dimostrano per l'ennesima volta dei guappi di cartone perché si sono nascosti dietro un avvocato». Insomma, prova ad aprire quella porta che i giudici hanno trovato chiusa: cerca di togliere la maschera ai boss e di snidarli come mandanti dell'intimidazione.

Non basta ancora. Saviano vuole stare al passo con il personaggio che porta il suo nome e in conclusione definisce il verdetto con un aggettivo definitivo: «Storico». «È stato un processo complicatissimo - sono le parole scolpite dallo scrittore - che cambia la storia del diritto per sempre. Viene riconosciuta dopo tanti anni la minaccia. Sono anni che aspettavamo questo risultato. Mi colpisce che in questo caso viene condannato un avvocato con l'aggravante mafiosa come se fosse stato lo strumento usato dal clan per minacciare. Il clan ha minacciato attraverso un avvocato i lettori e quindi tutti quelli che in questi anni si sono opposti al clan».

La sentenza sembra dire qualcosa di diverso e più modesto ma è vero che l'aggravante mafiosa è rimasta come un timbro anche se si sono persi per strada i mafiosi. Più prudente il pm Cesare Sirignano: «La mia è una soddisfazione parziale, ma è stato premiato il coraggio dello scrittore e della giornalista. Noi volevamo dimostrare la metodologia mafiosa. Ritenere che il legale abbia agito senza il beneplacito dei casalesi sarebbe strano».

Insomma la sentenza sta un po' stretta ed è pure politicamente scorretta perché i casalesi, simbolo del male, sono colpevoli per definizione. E Saviano è l'icona della luce e della giustizia senza macchia. Ma i giudici, questi almeno, non cercavano l'applauso facile.

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