Cronache

Montella in lacrime col gip. Conferma lo spaccio e inguaia il suo superiore

L'appuntato in cella risponde alle domande L'ammissione: il maresciallo Orlando sapeva

Montella in lacrime col gip. Conferma lo spaccio e inguaia il suo superiore

Quando i fermati urlavano sotto le botte, lui e il suo commilitone/complice minacciavano di picchiare più forte. Adesso che è in cella, con accuse da decenni di galera e l'addio alla divisa che ha insozzato per anni, l'appuntato dei carabinieri Peppe Montella ha smesso bruscamente i panni del maschio Alfa.

Fino a tre giorni fa era lui a fare il bello e il cattivo tempo nella caserma della Stazione Levante, trascinandosi appresso i colleghi e i superiori in un gorgo di illegalità. Adesso è un agnello che piange e si torce le mani davanti al giudice venuto a interrogarlo. Confessa molto, minimizza un po'. Al giudice Luca Milani poco importa, per ora, del resto: delle connivenze circostanti, financo dell'omertà, che hanno permesso ai carabinieri della Levante di continuare per anni a trafficare droga, a inventare arresti e a picchiare i fermati. Questa è l'agenda della Procura della Repubblica, il terreno su cui si muoverà la fase due di una indagine che non è destinata a chiudersi presto.

Al giudice che ha deciso gli arresti ieri serve solo ascoltare le versioni di Montella e dei suoi colleghi, capire se esiste un qualunque motivo per tirarli fuori dal carcere. E di motivi non ne salta fuori neanche mezzo. Tanto che neanche il suo difensore Emanuele Solari, al termine dell'interrogatorio, chiede la scarcerazione di Montella. Il faccia a faccia dura tre ore e mezzo, nel carcere Le Novate. L'uomo che nell'ordinanza di custodia viene indicato come il vertice della cricca, risponde a tutte le domande. L'ordinanza è talmente vasta che il giudice non riesce a contestare uno per uno i reati, in totale sono 58 capi d'accusa e Montella compare in quasi tutti. Così le domande puntano a ricostruire soprattutto i rapporti con il clan di spacciatori italiani cui si era legato a doppio filo, e di cui curava gli affari, spazzando via la concorrenza.

Montella ammette la conoscenza con i trafficanti, e non potrebbe fare altro vista la quantità di occasioni in cui è stato intercettato insieme a loro, ma non si limita a questo, ammette anche di avere partecipato alle attività di spaccio della gang. Su un altro versante odioso, quello dei pestaggi in caserma, qualche ammissione è costretto a farla, anche perché ci sono le registrazioni. Ma ne dà una versione minimale. Nessuno, dice, è mai finito in ospedale.

«È una persona molto provata», dice il legale uscendo dal carcere. «Si possono fare errori per ingenuità, per vanità, per tante cose», aggiunge. Come si possano ricondurre a «ingenuità» le imprese di Montella, le irruzioni a schiaffoni negli autosaloni per ottenere sconti, le torture inflitte in caserma, la droga rubata ai pusher e girata ai confidenti, è un mistero. Ma a Montella, stando al racconto del suo avvocato, preme anche discolparsi dagli episodi meno gravi ma più coloriti, togliersi di dosso l'etichetta del gangster alla Gomorra. Nega che in caserma si facessero festini con escort e con trans, come racconta uno dei testimoni. Smentisce di avere decine di conti correnti. «E pubblicare le foto del mio assistito con racconti surreali alla Scarface non è un buon servizio alla giustizia e al giornalismo», aggiunge il legale. Che poi invita la stampa a una «maggiore sobrietà» anche perché «ci sono di mezzo dei figli minorenni». Peccato che siano gli stessi bambini, i due figli della compagna di Montella, che la coppia portava con sé quando trasportava droga, e davanti ai quali magnificava apertamente la qualità della droga che aveva a bordo. Per non parlare del rapporto di Montella col figlio, col quale si vantava di avere picchiato un fermato che aveva avuto il torto di fuggire.

Il tema scottante è quello dei rapporti con la scala gerarchica, con i superiori che appena due anni fa avevano riconosciuto a lui e agli altri della Levante un encomio per i risultati conseguiti sul fronte della lotta allo spaccio. Su questo fronte Montella fa un ammissione importante: i suoi metodi erano noti almeno al maresciallo Marco Orlando, il comandante della Stazione Levante. Orlando è agli arresti domiciliari, con imputazioni finora più lievi rispetto al resto del branco.

Ma ora la sua posizione potrebbe aggravarsi.

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