«Moriremo di lavoro» Ma poi fanno di tutto per rinviare la pensione

«Ci faranno crepare di lavoro», tuona da Torino Marcello Maddalena, procuratore generale, denunciando le condizioni in cui i magistrati italiani si troveranno a lavorare grazie alle riforme del governo Renzi. Ed è un allarme che non può lasciare indifferenti, perché è ovvio che una magistratura travolta dai carichi di lavoro non riuscirebbe a svolgere la sua funzione con l'efficienza e la correttezza che i cittadini si attendono da lei. Maddalena conosce bene la realtà della giustizia, anche perché avendo messo la toga addosso nel 1967, ha la bellezza di quarantotto anni di lavoro sulle spalle. Ma proprio la sua eccezionale anzianità di servizio - indossata in piena forma - sembra in qualche modo testimoniare che difficilmente il suo lavoro può essere catalogato tra quelli usuranti. Quale lavoraccio può essere svolto per quarantotto anni consecutivi senza capitolare?

A questa stessa conclusione, d'altronde, sembra indurre anche la sollevazione con cui i magistrati italiani hanno risposto alla decisione del governo di mandarli tutti in pensione al compimento del settantesimo anno d'età. Troppo tardi? No, troppo presto. Una prospettiva che alla maggior parte dei comuni mortali apparirebbe assai gravosa, ha seminato il panico nella categoria. «Come, già in pensione?» L'Associazione nazionale magistrati ha denunciato che in questo modo si azzeravano i vertici degli uffici, rendendoli incapaci di funzionare. Ma ciò che si coglieva in modo palpabile, vagando e chiacchierando nei corridoi dei tribunali, era tutt'altro: il disorientamento di chi si vede a breve privato di ruolo pubblico, degradato a semplice cittadino. Se davvero il loro lavoro fosse così massacrante, i magistrati avrebbero accolto l'abbassamento dell'età pensionabile con un sospiro di sollievo.

E poi: se davvero fare il giudice prosciuga le risorse di un individuo, come mai arrivate in un modo o nell'altro sulla soglie della quiescenza, tante toghe si ingegnano in ogni modo per trovarsi un nuovo lavoro? Esclusa la necessità economica, è così irriverente ipotizzare che i lunghi anni nelle aule di giustizia abbiano lasciato a loro qualche energia in più che se avessero lavorato in fabbrica? Quando Francesco Saverio Borrelli andò in pensione cercò di tornare a lavorare come semplice pm pur di non restare a casa con le mani in mano; lo stesso Maddalena ha dato vita a un singolare balletto con il suo collega Gian Carlo Caselli, con cui si è scambiato e poi ripreso le cariche di procuratore e procuratore generale, pur di non tirare i remi in barca. E anche quando devono dire davvero addio alla toga, tanti si reinventano una seconda vita: qualcuno si ricicla come avvocato, qualcuno - con metodi non sempre candidi - si procura posti in consigli d'amministrazione. Tutto, tranne che a casa a riposarsi.

Le eccezioni ci sono: ma quando accade che qualche magistrato se ne vada in pensione a un'età normale, attratto da cose banali come leggere libri o girare il mondo, i colleghi lo guardano con un po' di commiserazione. Non è un lavoro leggero, fare il giudice; qualcuno si porta davvero a casa il lavoro; e il carico di responsabilità non è da poco.

Ma il deserto che regna dopopranzo in molti uffici, i weekend di tre giorni, i ponti allegri che seguono i calendari scolastici, sono una realtà impossibile da negare. Non crepano e non creperanno di lavoro, neanche se il governo gli toglie un po' di ferie. E lo sanno anche loro.

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