In morte dell'Aula di Cesare

Sparisce un mondo, quello della Camera più nobile: è il tramonto dell'Aula dove gli eredi di Cicerone e Catilina hanno scritto la storia del Paese. Con qualche strafalcione

In morte dell'Aula di Cesare

E così è fatta: il Senatus Populusque Romanus non c'è più. Ciao Cicerone, ciao Catilina e ciao anche a te, Cesare. In fondo il vero Senato romano non era molto distante da Palazzo Madama, molto probabilmente a Largo Argentina. Ma ieri è stato Palazzo Madama a essere espugnato e diventerà un'altra cosa, che ancora non sappiamo immaginare bene, ma che magari funzionerà benissimo. Ma lasciatemi fare la parte del nostalgico, magari anche quella del reduce, visto che sono stato in quell'Aula per sette anni, dal 2001 al 2008. La riforma passa ed è anche giusto: bisognava dare un segnale, ed è stato dato. Se sono contento? No. Come ex senatore mi sento come si dovevano sentire i sudisti di Dixieland dopo la sconfitta. Non perché abbia simpatie per i sudisti, ma perché questo genere di eventi si porta dietro un mondo, un mondo che se ne va e che è destinato a impallidire.

Ma, ripeto, la riforma andava fatta per il suo valore fortemente simbolico, e dunque viva il nuovo Senato dei cento senatori, cui si aggiungeranno - impavidi e inossidabili - un po' di residuati presidenziali, emeriti e non emeriti. Il Titanic affonda, ma qualcuno si è sistemato in scialuppa.

Ricordi? Fin troppi. Consideravo il Senato infinitamente più interessante, ed elegante, della Camera dei Deputati, dove si può entrare scamiciati e coi sandali. Ho sempre pensato e penso oggi sempre di più, che la forma sia la sostanza e che si debba stare in Parlamento in un certo modo, che non somigli all'uscita di una stazione della metropolitana.

Il ricordo più vivido: la caduta del governo Prodi nel 2008. Quella stessa che adesso cercano di far apparire come il frutto della «compravendita dei senatori», quando il senatore che cambiò campo fu uno solo e non c'è mai stato quel mercato che hanno fabbricato nella mente e dunque nella memoria degli italiani. Io avevo il mio computer e scrivevo in diretta sul mio blog, c'era un'aria tesa, un clima infernale. Il governo traballava, tutti i ministri e sottosegretari grigi in volto erano seduti ai loro posti sotto la presidenza e quando Prodi cadde ci fu un urlo di gioia, una tensione che si risolveva. Certo, ci fu l'episodio della mortadella e dello champagne, una discutibile goliardata, ma il fatto politico era enorme. Prodi cadde al Senato. E al Senato si era retto sulla pelle dei senatori a vita, fra cui la fragile Rita Levi Montalcini che veniva portata in Aula quasi in barella e assistita nel momento in cui il parlamentare deve mettere le dita dentro una buchetta del suo banco e scegliere il tasto giusto. C'era in servizio permanente effettivo l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, uno che aveva fatto di tutto, da deputato, per distruggere il presidente della Repubblica Francesco Cossiga e che poi diventò a sua volta presidente e quindi senatore emerito. Morì sfiorando il secolo di vita. Questa era la maggioranza che Prodi aveva al Senato: una minoranza formata dagli eletti del popolo, rinforzati da alcuni distinti individui che non erano stati eletti da nessuno.

Sì, e poi ricordo benissimo - sempre alla vigilia della caduta di Prodi - i malumori dei senatori della maggioranza che scalpitavano per mollare, per far cadere il governo. Nessuno di loro fu comprato o venduto e neanche affittato, ma il malessere di quell'Aula del Parlamento repubblicano era palpabile e tutti sentivano, sapevano e prevedevano che il governo sarebbe caduto sulle proprie ginocchia, altro che compravendita.

Al Senato, alla buvette, ricordo Umberto Bossi il giorno prima che fosse colto dal tremendo malore che lo mise fuori gioco per anni. Lo ricordo benissimo perché arrivò in jeans con aria festosa come un cagnolone libero dal guinzaglio. Sembrava un adolescente e tenne banco. L'indomani, o due giorni dopo, non ricordo, il fattaccio che lo stese. E come dimenticare Cossiga che faceva il padrino e il padre putativo di Massimo D'Alema, di cui era stato il grande elettore. Cossiga - cui volevo un gran bene e dalla cui amicizia ho imparato tanto - gridava in Senato che la guerra dei Balcani avrebbe presto varcato le frontiere e si sarebbe estesa in Europa occidentale, trascinandoci tutti nella guerra. Pensieri molto fantasiosi e un po' agitati.

Un altro ricordo molto vivo fu quello della nostra (di Forza Italia) occupazione del Senato quando era presidente Franco Marini. Ci fu una sopraffazione vietata dal regolamento. Urla, improperi, ordine di sgomberare l'aula, ma noi restammo lì. Ricordo il senatore Lucio Malan che lanciava il pesante tomo del regolamento contro Marini e il librone atterrò e atterrì il presidente.

Ricordo l'estenuante dibattito per l'istituzione della Commissione Mitrokhin che fra Camera e Senato impiegò due anni perché il disegno di legge diventasse legge. E ricordo la furia, la rabbia, la voglia di offendere e di intimidire della sinistra ex comunista di allora. Non c'era ancora Renzi e il partito era ancora per il 90 per cento fatto di ex comunisti che in cuor loro si sentivano perfettamente comunisti.

E poi la battaglia all'ultimo sangue che facemmo per approvare nel 2005 una riforma costituzionale che anticipava le riforme che si vorrebbero fare oggi. Fu una maratona entusiasmante e travolgente, la riforma del Senato era compresa insieme alla riduzione drastica del numero dei parlamentari. La nostra fu una vittoria mutilata perché si scatenò subito un battage pubblicitario della sinistra ex comunista per avvertire gli italiani che la nostra riforma era «berlusconiana» e dunque andava abrogata. Il tam tam ebbe i suoi effetti e così abbiamo perso quasi dieci anni di lavoro parlamentare.

La buvette del Senato ha l'eleganza di un club e, con tutto il rispetto per i futuri inquilini regionali, non sarà più la stessa. Sì, c'era e c'è in noi senatori un certo snobismo, una deplorevole e deplorata alterigia, il senso di appartenenza - almeno nella nostra immaginazione - a una élite.

Adesso ci sarà un ricambio umano, regolamentare, di funzioni e dunque nuovi rappresentanti dei consigli regionali verranno a prendere qui l'aperitivo.

Io personalmente avevo sognato un Senato all'americana, una Camera con un potere di controllo quasi terroristico su governo e la Camera bassa. Ma è stato deciso altrimenti e dunque morto un Senato, viva il Senato. Auguri sinceri, ma con un groppo in gola.

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