Morto Cirillo, il Dc rapito e liberato dalle Br Il rilascio resterà un giallo

L'ombra di una trattativa Stato-camorra dietro la sua scarcerazione. «La verità è dal notaio»

di Antonio Signorini

Q ualcuno, forse, si prenderà la briga di cercare lo scritto con la sua versione dei fatti. In un'intervista poi parzialmente smentita, Ciro Cirillo disse di averlo affidato a un notaio con il mandato di renderlo pubblico alla sua morte. Ma come andarono le cose nel 1981 - dettagli a parte - è noto da tempo. L'allora assessore all'urbanistica della Regione Campania, presidente del comitato per la ricostruzione delle zone terremotate, fu rapito dalle Brigate Rosse nel 1981 e liberato dopo 89 giorni.

Ieri è morto alla veneranda età di 96 anni. Il suo nome resterà legato a una delle tante sliding door della Repubblica italiana. Nella fattispecie, il momento in cui le Brigate Rosse rivelarono ai pochi che potevano ancora avere dubbi la loro natura stracciona, chiedendo e ottenendo un riscatto da 1,45 miliardi di lire che usarono per sopravvivere e finanziare gli ultimi omicidi prima del declino.

Ma anche il momento in cui lo Stato fece una capriola incomprensibile per chiunque avesse memoria di quanto era successo appena quattro anni prima con Aldo Moro. Per lo statista Dc fermezza e nessuna trattativa, fino all'omicidio. Per il meno autorevole democristiano campano, concessioni alle Br morenti e compromessi da brividi. Compreso l'intervento del capo della Nuova Camorra organizzata Raffaele Cutolo. Le cronache di allora diedero conto di una processione di personaggi davanti alla cella del mafioso. Emissari del gruppo terroristico, pezzi di stato e di criminalità organizzata impegnati in un gioco che solo in Italia può avere dignità politica. Comunque il risultato fu la liberazione di Cirillo e la sua scomparsa dalla vita politica, disposta dagli stessi vertici del partito che si erano adoperati per la liberazione.

In questi 36 anni, Cirillo ha dovuto fare i conti con lo spettro di Moro. In una famosa intervista rilasciata nel 2001 a Giuseppe D'Avanzo di Repubblica, la sua versione. «La Dc non poteva tollerare altro sangue, non avrebbe sopportato un altro esponente di prima fila morto ammazzato dai terroristi. Così il segretario del partito Flaminio Piccoli e il mio amico Antonio Gava decisero di darsi da fare. Non creda alla chiacchiere sulla trattativa con Cutolo. Fu Cutolo a farsi avanti. Gli affari della camorra, con tutta quella polizia nelle strade, stavano andando a rotoli».

Dei punti da chiarire ci sono ancora. Ad esempio se Cutolo ricevette una «parcella» per la sua mediazione (si parlò di una cifra sopra i due miliardi di lire) oppure se, come sosteneva il leader radicale Marco Pannella, il successivo caso Tortora fu un modo per distogliere l'attenzione dal pasticcio Cirillo.

Facile che nelle sue memorie - ammesso che esistano visto che lui stesso smentì - non si faccia luce su questi aspetti. Con tutta probabilità, non saranno ricordati Luigi Carbone e Mario Cancello, l'agente di scorta e l'autista che persero la vita durante il suo rapimento. Nell'intervista del 2001 nemmeno un cenno.

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