
Nel luglio di cinquant'anni fa, a Milano, in un appartamento di corso Venezia nasceva la Giorgio Armani Spa: fu molto più che l'atto fondativo di un fortunato marchio di moda italiana, fu la nascita di un'estetica nuova. E se oggi chiunque nel mondo sa riconoscere un abito by Armani, significa che quell'estetica lì si è fatta leggenda pop (lo aveva capito fin da subito Andy Warhol che dedicò ad Armani una delle sue serigrafie). Che cosa sarebbero stati gli anni Ottanta senza le giacche destrutturate di Re Giorgio, senza l'American gigolo's suit e l'iconico trench resi immortali da Richard Gere, era il 1980? Che cosa sarebbero stati senza le camicette di seta, i cappotti dalle spalle abbondanti e dal punto vita in evidenza? Giorgio Armani ha portato coolness, fighezza in purezza, negli anni degli eccessi (ricordando spesso: "Eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare") e riuscendo a domare con la sua visione un decennio dopo l'altro. Sempre fedele a sé stesso, sempre riconoscibile, eppure visionario, innovativo.
Giorgio Armani non ha firmato con maniacale cura solo le sue passerelle, è stato il regista principale della storia del costume contemporaneo. È l'uomo che ha portato la moda davanti alle macchine da presa e non solo perché ha vestito centinata di stelle sui red carpet (da Sofia Loren a Julia Roberts, da Claudia Cardinale a Cate Blanchet), ma perché ha introdotto il fashion sul grande schermo. Prima dei pantaloni con pinces e i blazer morbidi del leggendario gigolò interpretato da Gere, gli attori si vestivano (quasi) con quel che capitava: Re Giorgio ha inventato il "made in Hollywood all'italiana" che, nel guardaroba femminile, ha come capo-icona il tubino, elegante e audace (come quelli indossati da Jessica Chastain). Sono oltre duecento le pellicole di cui Armani ha firmato i costumi: troviamo il suo "Italian touch" ne Gli Intoccabili di Brian De Palma (vedi la combinazione perfetta di tweed e coppola indossata da Sean Connery), in Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese (pantaloni taglio sartoriale e camicia candida, pazienza se poi si macchierà alla prossima sparatoria) senza tralasciare le cravatte con le fantasie più assurde indossate da Leonardo DiCaprio in The Wolf of Wall Street e i doppiopetti gessati di Batman-Christian Bale (e, poi, sì, che classe le sahariane del Tè nel deserto di Bertolucci e che perfetta adesione ai nostri tempi i completi radical chic della Grande bellezza di Jep Gambardella). I suoi capi timeless, senza tempo, hanno plasmato l'immaginario del mondo, e ci vuole davvero del genio per rendere pop una sfumatura tenue come il greige, quel misto di grigio e beige che è la sua firma.
Giorgio Armani ha armanizzato anche la musica, trasformando la giacca nera sul corpo femminile in un'arma di seduzione di massa di cui Madonna, prima di altre, ha saputo approfittare. Il pop, vestendosi Armani, ha trovato quell'allure di cui prima difettava e sono tantissime le star da Beyoncé a Tina Turner, da sir Elton John a David Bowie con cui Re Giorgio coltivava un rapporto personale. Appassionato di musica (curava le scalette musicali di tutti i suoi eventi), Armani ha vestito il successo di interpreti come Lady Gaga (durante il Monster Ball Tour), Rihanna e Adele, senza dimenticare i nostri Marco Mengoni, Giorgia, Alexia (peraltro sposata con il nipote Andrea Camerana), Olly e finendo citato, lui che per stile rappresenta l'antitesi della trap, persino tra le rime di Sfera Ebbasta, Gué, Lazza, Drake.
Armani era capace di contenere moltitudini: dalla Capannina di Forte dei Marmi (da poco acquistata per rilanciarla) alla Scala (dove era presenza fissa e per cui firmò più volte i costumi), fino alla passione per l'arte moderna e contemporanea, come ben racconta il suo Armani Silos, spazio espositivo che è un labirinto di bellezza e incanto.
Il 24 settembre avrebbe dovuto celebrare i cinquant'anni di carriera alla Pinacoteca di Brera con una mostra di 150 look d'archivio, per la prima volta nella sale del museo: l'esposizione si terrà: l'ennesimo regalo di Re Giorgio.