La Nato contro i droni sul confine orientale

A Bruxelles si discute su come e con quali sistemi rafforzare la difesa aerea sul fianco est

La Nato contro i droni sul confine orientale
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Cieli fragili sul fronte orientale della Nato. Quando nei giorni scorsi i droni militari russi hanno violato lo spazio aereo polacco, la reazione di Varsavia e dei partner dell'Alleanza Atlantica è stata immediata. Ma l'incidente ha mostrato anche quanto fragile sia la protezione dei cieli alle frontiere dell'Europa orientale. Anche se gli aerei da combattimento sono riusciti ad abbattere alcuni dei velivoli senza pilota, il confine esterno si è rivelato facilmente superabile: i droni, alcuni dei quali carichi di esplosivo, hanno oltrepassato le linee difensive confermando la vulnerabilità di un fronte che si estende per 1.200 chilometri e che separa la Polonia da Kaliningrad, Bielorussia e Ucraina. Nonostante gli investimenti militari degli ultimi anni, la Nato resta infatti impreparata di fronte a minacce semplici e poco costose. In Germania, il generale Alfons Mais, ispettore dell'esercito, ha definito l'assenza di una difesa efficace dai droni la più grande debolezza della Bundeswehr. Una lacuna che non riguarda solo Berlino, ma l'intera Nato.

A Bruxelles si discute su come e con quali sistemi rafforzare la difesa aerea sul fianco est. L'uso di aerei da combattimento come il jet stealth F-35 è costoso, molto più della produzione dei droni russi. Il paradosso è evidente: velivoli da poche migliaia di euro costringono le forze Nato a schierare mezzi da milioni, in una sproporzione che rischia di logorare la sostenibilità della difesa. Questo squilibrio rende evidente la necessità di sistemi più versatili e sostenibili. Al momento, però, l'Alleanza non dispone di una soluzione uniforme. Ogni Paese cerca di colmare le lacune con mezzi propri, mentre si moltiplicano le discussioni su come coordinare un'efficace rete di difesa.

Le forze armate tedesche puntano a introdurre sistemi specifici come lo Skyranger di Rheinmetall, un sistema mobile di difesa antiaerea montato su veicoli blindati, ma le prime forniture saranno destinate all'Ucraina. In attesa di nuovi strumenti, si ricorre a soluzioni provvisorie, come l'impiego del cannone da 30 millimetri dei veicoli Puma, adattato con software modificati per colpire bersagli in aria. Le aziende del settore criticano da tempo questa situazione. Solo a luglio, l'Associazione dell'industria aerospaziale tedesca aveva inviato una lettera urgente al governo in cui lamentava la mancanza di importanti tecnologie di difesa e l'insufficiente coordinamento tra le autorità competenti.

Da Varsavia il primo ministro Donald Tusk ha chiesto apertamente un sostegno più consistente nella difesa dello spazio aereo, ricordando che la sicurezza polacca equivale alla sicurezza dell'intera Alleanza. Le risposte non si sono fatte attendere. La Svezia si prepara a inviare apparecchiature e velivoli, la Repubblica Ceca tre elicotteri di una unità speciale, l'Olanda ulteriore supporto tecnico. Anche Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Finlandia e Paesi baltici hanno avanzato offerte di collaborazione. Da Berlino è giunto l'annuncio di un rafforzamento delle attività di air-policing in Polonia, un ampliamento delle missioni di sorveglianza aerea già svolte sui cieli baltici. Un mosaico di iniziative che testimonia solidarietà, ma anche la mancanza di una strategia comune di lungo periodo.

L'allarme lanciato da Varsavia è però chiaro: nonostante i progressi tecnologici e la cooperazione tra alleati, il confine orientale della Nato rimane esposto.

I droni hanno dimostrato che non servono grandi arsenali per testare la resilienza dell'Alleanza. E per la Polonia, porta avanzata dell'Europa, ogni intrusione non è solo un allarme momentaneo, ma la prova generale di quanto ancora fragile sia questo scudo.

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