Nel Pd cresce il maldipancia D'Alema lavora alla scissione

Gli antirenziani, sempre più divisi, negano di essere pronti all'addio ma l'ex premier ipotizza un partito che i sondaggisti stimano all'8%. Bersani giura lealtà al governo

Tregua più che mai armata nel Pd. Se lunedì i cosiddetti «ribelli», o almeno parte di essi, potevano cantar vittoria perché «Matteo in fondo ha fatto un'apertura sulla reintegra per i licenziamenti disciplinari», ieri altre nubi si sono addensate su via del Nazareno. Soprattutto sulla testa della minoranza piddina che, peraltro, s'è spaccata la sera della direzione: i giovani turchi sono ormai dati come rientrati nell'alveo dei renziani, una pattuglia di bersanian-lettiani s'è astenuta, mentre nella veste dei duri e puri anti-Renzi sono rimasti soltanto i civatiani stretti (Casson, Lo Giudice, Mineo, Tocci, Ricchiuti, Ranieri). Il testo della delega è ancora molto vago e la minoranza ora teme il blitz di Renzi, proprio sui licenziamenti disciplinari. Il «trucchetto» sarebbe quello di invertire l'onere della prova della presunta ingiustizia, svuotando di fatto l'apertura sui disciplinari. Un esempio: se un lavoratore viene licenziato perché secondo l'azienda gonfia i rimborsi pasto o ruba, il dipendente potrà andare dal giudice chiedendo il reintegro ma starà a lui dover dimostrare che non ha fatto la cresta o ha rubato. Un'ipotesi, questa, difficilmente digeribile dalla sinistra piddina. Naturalmente ora Renzi non scopre le carte e nel Pd ci si continua a guardare in cagnesco. Troppi sospetti, troppi veleni.

A surriscaldare gli animi della minoranza piddina è stata ieri l'intervista sul Sole24Ore a Tommaso Nannicini, consulente del premier per il lavoro. «Individueremo casi estremi di licenziamenti disciplinari illegittimi dove rimarrà il reintegro», ha detto. Casi estremi? Quali? Perché non tutti? Queste le incognite che ieri hanno fatto tremare i dissidenti, per nulla sedati dalle aperturine (vere o presunte?) renziane. «Senza testo è difficile discutere - prende tempo Civati -. Bisognerebbe capire qual è l'orientamento anche nei rapporti interni, se qualche emendamento presentato dalla minoranza Pd viene recepito siamo più sereni, altrimenti meno». Insomma, per ora è guerra fredda. E mica tanto fredda se il civatiano Mineo lamenta: «Certo che quando vedo che un renziano mi scrive “sei inutile come un lecca lecca alla merda”...».

La tensione è alle stelle ma da qui a ipotizzare una scissione ce ne corre. Lo esclude persino lo stesso Mineo: «Se mi chiedete se voglio una scissione, la risposta è: per andare dove?»; mentre Bersani, che aveva incrociato le spade con Renzi in direzione, arriva a giurare che «certamente non mancherà la lealtà verso il partito e il governo». Lealtà col coltello tra i denti, però. L'odio reciproco tra renziani ed antirenziani sembra fattosi culturale, antropologico. Così come la distanza tra Renzi e D'Alema, emersa in tutta la sua drammaticità la sera della direzione: tanto che un vecchio della sinistra radicale avrebbe riportato una battuta dell'ex Lider Massimo: «E se facessimo un partito insieme?». Battuta o progetto realistico? Qualcuno ha persino calcolato che una forza di vetero-sinistri potrebbe valere fino all'8 per cento. Poco per sfondare, abbastanza per contare specie se si votasse con il proporzionale puro del Consultellum. Magari è fantapolitica ma già il fatto che girino queste voci rende l'idea di come sia terremotata l'area piddina.

«C'è gran casino - ammette uno della minoranza -. Per questo si è deciso di lasciar decantare un po'. Ci vediamo la prossima settimana» per cercare di serrare i ranghi e rispondere compatti ai colpi di Renzi.

Ma il redde rationem non arriverà alle estreme conseguenze per il premier: «Nessuno vuol far cadere il governo ma occorre rappresentare una parte di nostro elettorato che seppur minoritario, esiste». Lo stillicidio continua.

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