Jacopo Granzotto
Un anno nello spazio ti trasforma nel fisico e nella mente. Serve tempo per riprendersi. Soprattutto sei hai sessant'anni come Paolo Nespoli che ieri ha concluso la missione spaziale «Vita», utile per studiare gli effetti dei raggi cosmici. La sua Soyuz MS-05 è atterrata alle 9,37 ora italiana nella steppa del Kazakhistan con, a bordo, oltre a Nespoli anche il comandante russo Sergei Ryazansky e il comandante della Stazione spaziale internazionale, lo statunitense Randy Bresnik.
I tre sono precipitati sulle Terra in una capsula poco più grande di una campana per il riciclaggio del vetro con pareti e oblò spessi pochi centimetri per dividere gli astronauti da temperature fino a 2000 gradi, sballottati come uno yoyo prima dell'impatto finale con la steppa del Kazakhstan nei pressi del cosmodromo di Bajkonur. É stata dura. Nulla, però, in confronto a ciò che avveniva agli albori delle missioni spaziali in cui servivano fisici bestiali per domare accrocchi che di fantascientifico avevano solo il nome.
Termina così dopo 139 giorni dal decollo avvenuto lo scorso 28 luglio, l'Expedition 52/53, la terza missione di Nespoli che stabilisce così il nuovo record di permanenza nello spazio per un astronauta italiano con 313 giorni trascorsi fuori dall'atmosfera terrestre. La missione «Vita» è la terza di lunga durata dell'Asi dopo quelli degli astronauti dell'Esa Luca Parmitano del 2013 (Volare) e di Samantha Cristoforetti del 2014 (Futura). Nespoli a bordo della stazione spaziale ha portato a termine gli 11 esperimenti che gli erano stati assegnati. «Vita» come Vitality, Innovation, Technology, Ability prevedeva una serie di esperimenti selezionati dall'Agenzia spaziale italiana, da quelli ai test di realtà aumentata per snellire le operazioni di bordo, ai test per dispositivi di scambio termico passivo con fluidi a bassa tossicità, allo studio del comportamento dei fluidi grazie alla macchina da caffè spaziale. Molti degli esperimenti, come spesso accade, hanno però guardato le scienze delle vita, nell'ottica di «capire come funziona il corpo per acciuffare quei meccanismi che ancora ci sfuggono», ha ricordato Nespoli. Che a 60 anni compiuti detiene il primato di astronauta europeo meno giovane ad essere stato lanciato nello spazio.
Come detto, il ritorno dallo spazio dopo molto tempo rappresenta una sfida per l'organismo, una condizione di crisi fisica che accelera l'invecchiamento. I cambiamenti cominciano dalla perdita di calcio nelle ossa che diventano fragili. E' per questo che quando escono dalla Soyuz gli assistenti adagiano con delicatezza gli astronauti sulle poltrone. La ripresa completa richiede 5-6 mesi.
Anche gli occhi devono riconquistare la normalità. Altrettanto il sistema cardiocircolatorio: in orbita il sangue fluisce facilmente alla testa a causa dell'assenza di gravità. Ecco perchè i volti degli astronauti appaiono gonfi e più rosei.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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