Il governo post elezioni ha un compito urgente, il documento di Economia e Finanza (Def) 2018-2020, che comporta una micro manovra correttiva di 0,2 punti Pil per il 2018 e la sterilizzazione dell'aumento dell'Iva messo a bilancio per il 2019. E già si parla da vari ambienti di aumento di imposte, salvo i tagli di spesa tramite una spending review.
Ma non c'è bisogno di tagli, bisogna controllare i preventivi di spesa dei vari ministeri ed enti, per evitare che essi aumentino in modo indebito, adeguandosi alla crescita del Pil nominale o, peggio, a quella delle entrate, che di solito, automaticamente, aumentano più del Pil nominale, data la struttura progressiva del sistema tributario. Il Pil del 2017, su cui si basano i gettiti fiscali delle imposte sul reddito e sui profitti è cresciuto in termini nominali del 2,5-2,7% e in termini reali dello 1,4-1,5%.
L'Irpef, data la sua progressività, di solito dà un gettito che (salvo bonus che la bucherellano a favore di questo o quello) cresce di 0,3 punti più del Pil nominale. Questa progressività tanto decantata cela un imbroglio, perché scatta anche in rapporto all'aumento puramente nominale del reddito dovuto al rincaro (sia pure dello 1%) dei prezzi dei beni e servizi, mentre quello reale è invariato. Non si capisce perché le spese pubbliche che sono commisurate a parametri fisici, come quelli delle strade per l'illuminazione debbano crescere con il Pil nominale e non in base all'eventuale variazione del prezzo dell'elettricità, tenuto conto del progressi tecnologico degli impianti della luce che fa risparmiar energia.
Gli acquisti di beni e servizi dei ministeri possono costare di più se i prezzi sono aumentati, ma non c'è motivo di pensare che debbano aumentare della stessa percentuale della crescita del Pil reale: se il Pil cresce i funzionari hanno bisogno di più penne biro? L'orizzonte che ha davanti a sé chi prepara il Def non è più quello della recessione. Anche nel 2018 il Pil dovrebbe crescere dello 1,5 in termini reali e dello 1 almeno in termini monetari cioè 2,5 in termini nominali. E nel 2019 è presumibile un'altra analoga crescita del Pil nominale, magari con un aumento dei prezzi un po' maggiore e un aumento del Pil reale un po' minore che nel 2018. Le spese sanitarie, quelle scolastiche e molte altre spese sono legate alla variazione demografica, e alla politica del personale, non alla crescita del Pil.
Il controllo della spesa pubblica deve evitare che essa cresca come il Pil o - peggio - come la pressione fiscale automatica: non si tratta di
tagli, ma di riduzione di aumenti. Ciò vale per le spese e, di conseguenza, anche per le entrate per la loro copertura: da farsi, salvo l'1,2% di disavanzo, che comporta zero deficit reale e riduzione del debito sul Pil.
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