Il motto della campagna di Trump è breve e incisivo: rifare l'America di nuovo grande. Il che lascerebbe supporre che secondo il tycoon l'America non mostra in questo momento segni di alcuna grandezza. Ma a quale genere di grandezza fa riferimento il presunto candidato repubblicano? Vuole più forze speciali? Un nuovo armamento atomico? No, sembra che non sia la guerra, o la sua minaccia, lo strumento con cui fare tornare «grande» l'America. E allora qui sorge un problema interpretativo, perché a Trump piace spararle grosse, gli piace il suono delle parole che dice ed è un improvvisatore. Non ha mai chiarito questa questione della «grandezza».
Essere di nuovo grandi
Quando, all'inizio del 900, cominciò l'epoca dei Roosevelt con il repubblicano Theodore (zio alla lontana di Franklin Delano che guiderà l'America dalla crisi del 1929 fin quasi alla vittoria nella Seconda guerra mon- diale) l'idea di «grandezza» era sinonimo di «imperiale». L'America, che non aveva mai avuto delle colonie, fu tentata dal possesso delle Filippine, liberate dagli spagnoli e occupate dagli americani con una sanguinosa repressione. Alla fine della guerra prevalse lo spirito originario dell'anticolonialismo e le Filippine furono restituite all'indipendenza. Ma quello fu certamente il momento in cui l'America fu più grande, influente, potente sia sul piano economico che militare. Che cosa dice di voler fare oggi questo developer di appartamenti e quartieri? Dice che vuole abolire la Nato, cioè l'alleanza atlantica che ha costituito il nerbo del contenimento russo nell'era del comunismo. Quando la Guerra fredda fu dichiarata conclusa (anche se con una certa forzatura), si diffuse anche in Italia sia a sinistra che a destra l'opinione di coloro che ritenevano la Nato un vecchio attrezzo da relegare in soffitta. Poi però fu rivitalizzata con incarichi antiterrorismo, ma senza una definizione precisa. Essendo stato per cinque anni membro dei rappresentanti parlamentari presso la Nato e avendone seguito i lavori di natura politica, posso dire di aver assistito ad una confusa decadenza dell'antica alleanza, che si era nel frattempo trasformata in una minaccia de facto nei confronti della Russia, man mano che Paesi una volta appartenenti alla sua area geopolitica come la Polonia erano diventati basi militari americane. Il presidente russo naturalmente vorrebbe che la Nato sparisse dalla faccia della terra e finora né democratici né repubblicani hanno dato seguito a questa richiesta. Arriva Trump e lo fa. Lo dice. Come argomento porta il fatto che gli Stati Uniti ogni anno gettano al vento centinaia di miliardi per difendere gli altri. Sull'argomento ripete con spavalderia: «Se qualcuno avrà bisogno del nostro aiuto, valuteremo e forse lo daremo. Ma poi presenteremo il conto». Il costruttore ha di se stesso una stima infinita, si ritiene di pochi centimetri inferiore a Dio, ma non ne è neanche sicuro. C'è un certo elemento psicologico personale che va valutato in questa vicenda della Nato. Lui si considera un fixer, uno che risolve i problemi. Quand'è che scoppiano le guerre? Quando nessuno ha saputo mettere d'accordo le parti. Ma io scommetto - dice e ripete Donald Trump - di essere in grado di gestire qualsiasi controversia e di trovare la soluzione di massima che renderà con- tenti tutti. Ai dettagli penseranno gli specialisti. E il mugugno, a destra come a sinistra, è alto.
La questione cinese
Un altro tema gli sta a cuore. Vuole sistemare le cose con i cinesi. Ovviamente non va in cerca di guerre, ma della fine di un'epoca in cui la Repubblica popolare cinese si è presa gioco degli Stati Uniti con una improvvisa svalutazione e poi usando come leva di potere il possesso, nelle casseforti di Pechino, di gran parte del debito pubblico americano. La questione del debito pubblico americano è antica quasi quanto l'Unione ed è diventata presto un punto d'onore: gli Stati Uniti hanno sempre garantito senza alcuna eccezione né di tempo né di quantità il pagamento degli interessi, ma l'amministrazione Obama ha sudato freddo ed ha fatto sudare freddo tutto il mondo quando ha dovuto elevare il tetto del debito pubblico americano. Oggi la Cina possiede circa mille e trecento miliardi di dollari di debito Usa e dà frequenti segni di malumore. Donald Trump è molto sensibile al malumore cinese e se ne è uscito con un'idea dal suono molto propagandistico, ma che ha fatto impressione: vuole ridurre e, anzi, annullare il debito pubblico per togliere spazio di manovra alla Cina. Trump vuole distruggere i mercati associati come il Nafta - la zona di libero commercio fra Canada, Usa e Messico - e le nuove convenzioni sulle due sponde dell'Atlantico che finora hanno provocato soltanto malumore e preoccupazione. Chiede libertà assoluta: niente gabbie, niente trappole, di fatto una disintegrazione dei rapporti tradizionali con l'Europa occidentale. Il «trumpismo» come formula di politica estera non è ancora nato, ma già sta dando alcuni risultati: Israele si è avvicinato molto alla Russia che intende giocare sempre più un ruolo di influenza dopo aver assicurato il vecchio dominio sulla Siria. È possibile che questa mossa diplomatica e politica sia ispirata alla possibilità di una presidenza Trump, anche se i pronostici che conosciamo oggi sono del tutto incerti e cangianti.
Il tifo per Brexit
Ciò che Trump però vorrebbe accentuare è il trascinamento della sacra alleanza fra Stati Uniti e Regno Unito sotto la forma di un unico grande Stato senza gravi fratture interne. «The Donald» ha fatto apertamente il tifo per la Brexit ed è stato felicissimo dell'esito del referendum. Ha fatto in modo, come abbiamo visto, di trovarsi in Scozia quando il risultato è emerso ed ha concesso interviste e conferenze stampa a tutti i giornalisti, tranne a quelli del Guardian che tratta con disprezzo.
Non ha voluto prendere contatti con nessuno, non è andato a Londra dove dice che Cameron lo aveva invitato, ha agito in perfetta solitudine come ambasciatore di se stesso, tra l'altro comparendo in un Paese come la Scozia che, al contrario, vorrebbe restare nell'Unione Europea e abbandona- re definitivamente Londra.(6. Continua)
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