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Niente sci fino al 10 gennaio. Ma l'Austria insiste per aprire

Il governo per gli impianti chiusi. Le Regioni: "Almeno chiudiamo le frontiere". Ue: da noi raccomandazioni

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L'Europa potrebbe lasciarci da soli al cancelletto di partenza. Traballa il patto no-ski auspicato dal premier Giuseppe Conte. «Le decisioni sono di competenza nazionale. L'Europa può solo fare raccomandazioni sanitarie», ha chiarito il portavoce dell'esecutivo Eric Mamer, ancora prima che Angela Merkel precisasse: «Se l'Austria riapre le piste, un accordo comune sarà difficile». L'Italia deve reagire da sola, alzando, per esempio, muri alti come lo spauracchio della quarantena di ritorno. Oppure, come hanno chiesto ieri alcune Regioni, chiudendo le frontiere: gli sciatori, in fondo, li riconosci, viaggiano di solito in auto con sci a bordo. Un'Europa divisa su tanto, ma compatta contro lo sci era difficile immaginarla: prendi l'Austria, per cui lo sci è sport nazionale quanto il calcio da noi, o la Svizzera che per geografia ha già alcune località aperte, ha prenotazioni consistenti per le feste, ma ha tristemente transennato di blu il confine italo elvetico di Plateau Rosà a Cervinia per evitare sconfinamenti sci ai piedi. Con la Germania non confiniamo; la Slovenia, pur con i suoi leggendari impianti boutique, non sarebbe un richiamo di massa. Per bloccare chi è diretto in Francia, Andorra o Spagna, allora sì, basterà l'obbligo di «prolungare» la vacanza con 14 giorni di confino domestico.

Che cosa resta? Ripensarci, per non restare gabbati: permettere allo sci di partire, in sicurezza. Dopo l'Epifania, come sembra orientata la politica con il ministro Speranza che lo ha ribadito ancora ieri. Mentre l'intero settore si aggrappa allo spiraglio della gradualità: aprire ai residenti, in ogni caso al turismo di montagna at large, poi su base regionale dove la curva del virus e il risiko del nuovo tricolore a zone rossoarancio-giallo lo permetteranno. La priorità è completare l'iter di approvazione delle linee guida per l'accesso agli impianti: «Ci dicano se queste norme vanno bene o che cosa chiedono», ha detto Andy Varallo, presidente di Dolomiti Super Ski, in un affollato webinar. Il suo comprensorio è una bella fetta di Dolomiti, con 1.200 km di piste, il più grande del Belpaese. Gli fa eco Helmut Sartori, a capo degli esercenti funiviari dell'Alto Adige che, dopo lo screening di massa della popolazione, erano pronti ad aprire: «Viaggiamo su mezzi pubblici, riapriamo magari pure le scuole: perché non lo sci?». «Siamo uno sport di massa, ma non da ieri - chiosa Varallo - quel che pesa, più dei sacrifici, è il venir paragonati alle discoteche». Lo sci è altra cosa, ma forse a Roma, nella Cinecittà dei Dpcm è arrivato come per la movida estiva - solo il Sapore di mare ed un unico cliché alla Vacanze di Natale. «Non ci riteniamo gli unici in sofferenza», ripetono gli albergatori. «Hanno sofferto le località di mare, poi le città sia del business sia dell'arte». Serve un piano ristori vero, per lavoratori in maggioranza stagionali o ricorrenti, tagliati fuori da qualunque sussidio. Un ristoro, però, che sia misurato sulla media della stagione e non, come avvenne in primavera, sull'aprile del 2019 quando «una Pasqua molto avanzata aveva già svuotato le piste e riempito le spiagge», precisano dal Trentino.

Intanto l'Italia aprirà agli sciatori di tutto il mondo, quelli di Coppa del mondo, fin dal 5 dicembre dopo che due gare previste in Francia sono state spostate a Santa Caterina Valfurva che darà il via alla tournée italiana del circo bianco, seguita da Gardena, Badia, Campiglio, Bormio, in vista di Plan de Corones a gennaio e dei Mondiali di Cortina, a febbraio. In queste località gli impianti saranno aperti, solo in parte per gli atleti, ma giova ricordare che grazie alla nuova norma della Fisi Federsci azzurra, chiunque sia tesserato, affiliato ad uno dei 1.

200 sci club, potrà, nell'ambito di un allenamento, usufruire, come un lasciapassare della neve, del medesimo status di atleta di interesse nazionale, come i campionissimi.

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