Coronavirus

Niente test, ma preghiere e medici di famiglia. La resistenza dei possibili contagiati "fantasma"

Sono a casa, stanno male ma non sono ritenuti casi gravi. E rischiano grosso

Niente test, ma preghiere e medici di famiglia. La resistenza dei possibili contagiati "fantasma"

Il numero ufficiale dei contagi sembra diminuire. Ma quel dato trascura l'ondata sotterranea di contagiati che vivono il loro dramma in famiglia senza essere monitorati. Il tampone è ancora una chimera: se ti presenti in ospedale con febbre e tosse, ti rispediscono a casa. Il test si fa solo se hai carenza di ossigeno. Cioè quando sei già grave.

Così la marea del sommerso cresce assieme ai contagi: i pazienti con tosse secca e febbre se ne stanno chiusi in casa assieme ai familiari che a loro volta saranno infettati. E tra poco assisteremo a nuovi ricoveri, nuove emergenze, quelle che potrebbero essere evitate se si facessero più tamponi e si isolassero i positivi fuori dalla propria abitazione. Come fanno in Corea.

Per ora, nel nostro Paese, i potenziali untori domiciliari si affidano ai medici di famiglia che raccomandano tachipirina e preghiere ai santi protettori. Se la febbre persiste antibiotico, amoxicillina o azitromicina.

Qualche storia rende meglio di tante parole.

MILANO Marisa C. è stata infettata, nonostante le sue precauzioni, da un noncurante collega (ora in rianimazione) che arrivava in ufficio con il metrò senza neppure rispettare la distanza di sicurezza. Da subito accusa febbriciattola, dolori intestinali, forte mal di testa. Sa che è stata contagiata, lo dice al suo medico di base, telefona al numero verde della Regione. Tutti a dire la stessa cosa: niente tampone, stare a casa con tachipirina a go-go. «Ma a me saliva la febbre come una molla: da 36.5 a 39.7 in 20 minuti racconta E pensavo di svenire in preda agli spasmi intestinali e all'emicrania». Così speri che il peggio passi mentre ti controlli la saturazione e l'eccesso di paracetamolo ti provoca un rush cutaneo. A Marisa nessuno ha fatto il tampone. Ma sa già di essere l'untrice di figlia e marito, inevitabili vittime del virus.

BUSTO ARSIZIO Angelo aveva 74 anni, diabetico. La settimana scorsa accusava gli ormai inequivocabili sintomi. La febbre alta, però, non si abbassava né con tachipirina né con antibiotico. Respirava a fatica e il figlio Carlo ha telefonato tre volte al 112. «Ho scongiurato di fargli una visita, spiegavo che non respirava a fatica, che aveva i sintomi del Covid ma loro rispondevano che non era tra i casi gravi. Al terzo giorno li ho minacciati, avrei portato mio padre con l'auto in ospedale se non fossero venuti a prenderlo». Alla fine, in emergenza, Angelo è arrivato in pronto soccorso e dopo tre giorni è morto. «Perché non ci ascoltano? Se non avessero aspettato tanto mio padre sarebbe ancora vivo» dice sconsolato Carlo.

NOVARA Per Pietro C. in casa con mogli e due figli, Covid conclamato da radiografia (in ospedale) ma niente tampone. Rispedito a casa, con saturazione che oscilla, febbre oltre i 38. Il 112 allertato per due volte dice di stare calmo, che forse passeranno a visitarlo. Nessuno si è ancora visto, lui si cura con tachipirina e antibiotico e spera che sia scongiurata la crisi respiratoria: solo a quel punto potrebbe sapere se è positivo.

BERGAMO Luisa è un operatore sanitario. Accusa febbre in ospedale dove - a lei sì - fanno il tampone. Per poi spedirla a casa. Si cura da sola con tachipirina e antibiotici. Sa che è dura: la febbre è alta, la tosse e poi quell'assenza di gusto e olfatto che la disorienta. E tanta stanchezza. Lotta da 10 giorni mentre anche suo marito, che lavora da casa, si è infettato: Covid sicuro anche senza tampone. A lui, con febbre oltre i 38, somministra Plaquenil, un farmaco antimalarico, ancora poco noto a non addetti ai lavori, che gli fa abbassare la temperatura sotto i 37 e non si rialza più.

POTENZA Palmiro, rappresentante, il 13 marzo ha febbre alta. Tachipirina e antibiotico non gliela abbassano. Il figlio chiama più volte il 118 e chiede un tampone per suo padre. «Mi dicono che non possono mandare l'ambulanza- racconta il figlio a tutti quelli che hanno la febbre». Solo quando Palmiro, dopo tre giorni, ha iniziato a delirare e ad avere le dita viola, l'ambulanza lo ha portato in ospedale dove hanno rilevato una saturazione a 83 e una positività al Covid.

Ora Palmiro è intubato e il figlio si sfoga: «Ho un grande rispetto per chi lavora incessantemente per aiutare i malati, ma mio padre poteva essere assistito meglio e soprattutto prima di aggravarsi».

Commenti