Da "no" a "ripensaci". La svolta di Salvini in meno di 24 ore. Mattarella: rispondo solo al Parlamento

Draghi gioca l’ultima carta: Giorgetti premier o vice. E Matteo si rifugia nel bis. A differenza di Napolitano il capo dello Stato non vede i leader ma i capigruppo

Da "no" a "ripensaci". La svolta di Salvini in meno di 24 ore. Mattarella: rispondo solo al Parlamento

Da «il Mattarella bis è il peggiore degli scenari possibili» al «Mattarella ripensaci» passano meno di 24 ore. Durante le quali Salvini si esibisce nell'ultima delle giravolte. Hanno la meglio le inquietudini e i sospetti verso il fronte del Nord, che all'interno della Lega spinge pesantemente su Draghi ormai da giorni. Una poderosa fronda interna - non solo Giorgetti, ma anche buona parte dei governatori del Carroccio - che si salda a una Meloni che, pur stando all'opposizione, tifa discretamente per il trasloco del premier al Colle, anche perché potrebbe essere il viatico per le elezioni anticipate.
Così, nel volgere di un pomeriggio e di una nottata, Salvini decide l'ultima conversione a U. Venerdì, al tavolo dei leader del centrodestra dopo lo scontatissimo frontale mattutino della Casellati, il leader della Lega si dice d'accordo con la Meloni. I presenti fanno la lista dei loro desiderata. Tajani: «Casini o, second best, Mattarella». Toti: «Casini, Draghi o Mattarella». Salvini e Meloni, invece, ascoltano. Ma si trovano d'accordo alla domanda «quale degli scenari sul tavolo è quello meno auspicabile?». «Il Mattarella bis è il peggiore dei possibili», sentenziano all'unisono. Tanto che, racconta La Russa, «la battuta che girava era allora votiamo non-Mattarella, così siamo d'accordo».

Le ore successive, però, sono quelle della diffidenza. Il timore di Salvini - che prende piede di ora in ora - è che sia in atto una congiura all'interno del suo partito, nel tentativo di rimettere in pista Draghi. Ecco perché venerdì sera, il leader della Lega tenta l'ultimo blitz. Esce dal vertice con Conte e Letta e annuncia la candidatura di una donna, cioè il capo del Dis Belloni. Gli va dietro Conte. E scoppia la bomba. Draghi è già in macchina sulla via di casa, fa inversione e torna a Palazzo Chigi. Alza il telefono e il colloquio con Letta - che ha lasciato la Belloni nella rosa - è di quelli che il segretario dem non dimenticherà. «Ho contro anche il Pd?», è il senso delle parole del premier. Che dopo il frontale della Casellati aveva convenuto con lo staff ristretto che la sua corsa al Colle era ormai troppo in salita. Ma che come unica alternativa al suo nome ha sempre immaginato solo quello di Mattarella. L'unico che garantisce lo stesso equilibrio e che gli consente di restare premier senza uscire davvero sconfitto da una partita che, solo qualche settimana fa, dava per vinta. Appena chiuso l'accordo sul bis, infatti, Palazzo Chigi fa filtrare la «grande soddisfazione» dell'ex numero uno della Bce. Che, recita lo spin, ha lavorato alacremente per il bis. «Questa è l'Italia dei due presidenti», è il messaggio da far rimbalzare sui media. Uno è Mattarella, l'altro è Draghi che lo ha incoronato.

Inutile dire che la cronaca racconta tutta un'altra storia. Perché il premier ha provato fino alla fine a giocarsi la partita. Ma ha perso. E ha ceduto solo ieri mattina, quando c'è stato lo show down e al bis di Mattarella non c'erano più alternative. A quel punto ha - giustamente - deciso di intestarsi la cosa. Ma la politica tutta è consapevole del fatto che in una settimana di votazioni il nome di Draghi non è mai entrato in campo. Nonostante il suo indiscusso standing internazionale e il fortissimo pressing del diretto interessato. Che nell'incontro di venerdì pomeriggio con Salvini, lontano dai riflettori in un palazzo di via Veneto, avrebbe persino messo sul tavolo la poltrona di premier (o vicepremier) per Giorgetti. In uno schema non scontato - perché poi il Pd avrebbe dovuto accettare - che vedeva Draghi al Colle e un posto di leadership di governo per l'attuale ministro dello Sviluppo. Proposta - quella di vedere un leghista ai vertici di Palazzo Chighi - che invece di allettare Salvini lo ha ancor più preoccupato. Il leader leghista, infatti, è convinto che Giorgetti e il fronte dei governatori siano una propaggine del draghismo nel suo partito, degli incursori in casa sua. E Draghi, non è un dettaglio, ha dimostrato di tollerare a mala pena Salvini dal giorno in cui - lo scorso febbraio - ha bocciato tutti e tre i nomi che aveva indicato come ministri.

Così, ieri mattina, Salvini ha capitolato. Forse perché gli è arrivata voce che era in corso un ultimo, disperato tentativo di rimettere in campo Draghi (nonostante il premier non si vedesse più in gioco già dalla tarda sera di venerdì). L'intenzione era quella di mettere sulla scheda della settima votazione il nome di Draghi, idea trasversale che teneva insieme la Lega che fa capo a Giorgetti e ai governatori, un pezzo di Forza Italia, una parte di Pd e M5s (quella disponibile a fare sponda) e FdI (la Meloni aveva dato la sua disponibilità a votarlo). È a quel punto, forse, che Salvini ha deciso di accelerare. E ha detto sì al bis agli altri leader di maggioranza. Poi, a favore di telecamere, si è appellato a Mattarella: «Ripensaci!».

Il capo dello Stato non ha fatto una piega.

Ma ci ha tenuto a usare un altro approccio rispetto a quello del bis di Napolitano, quando furono tutti - leader dei partiti compresi - a salire al Colle per chiedergli di restare. Mattarella, invece, ha voluto solo i vertici dei gruppi parlamentari. Per mandare un messaggio inequivocabile: non rispondo ai leader di partito e ai loro cambi di direzione, da ora in poi rispondo solo al Parlamento.

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