"Noi commercialisti nel mirino"

L'Ordine denuncia la pioggia di avvisi di garanzia: "Professionisti rovinati anche se innocenti"

"Noi commercialisti nel mirino"
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Ad andare a ramengo quasi subito - insieme alla libertà, al lavoro, ai soldi, alla reputazione, alla fiducia in se stesso, alla salute - c'è spesso il matrimonio. Perchè, come spiega Valeria De Vellis, avvocato divorzista che ne ha viste di tutti i colori, quando un professionista va in galera non tutti i coniugi reagiscono portandogli le arance. Partono i regolamenti di conti, la caccia ai patrimoni, le faide per i figli. E neanche da questo, quando verrà assolto, l'arrestato potrà più riprendersi. A galla non si torna.

Sono una lettura angosciante, gli atti dell'incontro che l'8 novembre l'Ordine dei commercialisti di Milano ha tenuto sulla macchina tritasassi delle indagini penali. Nessuna categoria professionale in Italia, neanche i medici, vive in modo così drammatico la frequenza degli avvisi di garanzia, degli arresti e dei processi. Su revisori dei conti, su membri di collegi sindacali vengono riversate quasi in automatico le colpe degli azionisti, una firma su un bilancio diventa un delitto di bancarotta. Certo, c'è chi delinque. Ma c'è la pletora degli incolpevoli, travolti da accuse a volte fantasiose, a volte tecnicamente strampalate. Quando a smantellare una vita non arrivano le manette, basta la fuga di notizie, il verbale finito sui giornali: «Io - racconta Marcella Caradonna, presidente dell'Ordine - sono arrivata al punto di escludere dalla nostra rassegna stampa gli articoli sugli avvisi di garanzia».

Il campionario di commercialisti innocenti e devastati dalle indagini è vasto. C'è la storia del valdostano Michele Sorbara, 214 giorni di carcere di cui 45 in isolamento, assolto «perché il fatto non sussiste»: ma intanto il suo lavoro non esiste più, i nervi sono a pezzi, la madre anziana che si ammala davanti al disastro «che ha colpito come un fulmine una famiglia nata e cresciuta con sacrifici e onestamente», come scrisse il fratello di Sorbara: «Una vita distrutta psicologicamente ed economicamente per il nulla più totale». C'è il torinese Michele Vigna, che paga con due incriminazioni la scelta di avere tenuto aperti, come curatore fallimentare, i cantieri per l'Alta Velocità: anche lui sbattuto in pagina, «intorno mi si è fatto il vuoto». Due processi, due assoluzioni, e una carriera che nessuno gli restituirà.

Si dirà: le solite lagne sulla malagiustizia. Ma poi, a illuminare la faccenda di una luce inedita, arriva un signore che conosce direttamente i due mondi: quello dei commercialisti e quello delle Procure. Si chiama Corrado Ferriani, anche lui - come altri colleghi - ha lavorato a lungo come consulente dei pubblici ministeri. Sono i consulenti ad accompagnare per mano i pm nei meandri dei bilanci, degli ammortamenti, delle detrazioni. È lì che si crea un patto scellerato. Quasi sempre i consulenti dei pm, in queste inchieste, sono commercialisti anche loro, che si trasformano in persecutori dei colleghi. Il pm a volte capisce, a volte si adegua, a volte istiga. Racconta Ferriani: «Il quadro preciso lo vedi stando nella stanza del pm. Dovreste vedere cosa succede, il furore inquisitorio non del pm ma dei suoi ausiliari, della polizia giudiziaria, dei consulenti tecnici. Indagini che nascono dal pregiudizio maniacale di colleghi che vogliono punire colleghi. Mi è toccato leggere relazioni di una violenza inaudita, consulenti che di fatto scrivono i capi di imputazione, roba che fa venire i brividi. Sono questi che l'Ordine dovrebbe mettere sotto procedimento disciplinare, consulenti e curatori fallimentari che si sentono poliziotti e scrivono con la bava alla bocca». Perché lo fanno? «Per invidia, per imbecillità, per l'ebbrezza di andare a fare le perquisizioni la mattina presto insieme alla polizia giudiziaria» E i magistrati? «A volte vengono tratti in inganno», dice Ferriani. Ma a volte sono i mandanti, «molti anni fa lavoravo per un magistrato importante, era il mese di ottobre, mi disse: mi scriva una relazione preliminare su questo tizio che devo arrestarlo entro Natale. Quando mi rifiutai mi disse che non avrei più lavorato per lui. Io gli risposi: è un onore. Fuori della porta c'erano dieci colleghi che non vedevano l'ora di prendere il mio posto».

Il giorno stesso in cui il suo nome finisce sui giornali, il commercialista si trova con i conti bloccati, i fidi revocati. Dieci anni dopo (se è fortunato) arriva l'assoluzione, ma ormai il danno è fatto. Luca Luparia, professore ordinario di procedura penale a Roma, al tema dell'errore giudiziario ha dedicato più libri, e ora un gruppo di lavoro permanente: «Al reinserimento dei condannati lo Stato dedica giustamente norme e strumenti. Ma al reinserimento degli assolti non ci pensa nessuno».

Non siete i soli ad andarci di mezzo, spiega alla platea Andrea

Padalino, già pubblico ministero a Torino, incriminato, devastato e poi assolto, che racconta la sua brutta storia ai commercialisti increduli. «É toccato anche a me, che sono un magistrato». Ma è una magra consolazione.

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