Non stupiamoci se l'amore deluso spinge a uccidere

L'amore è cieco, l'amore non ha età, dicono due dei tanti luoghi comuni che affliggono la nostra capacità di pensare in proprio. Meglio, allora, più preciso, dire che l'amore si accompagna sempre alla follia. È la follia che d'improvviso, senza un vero motivo, ti rende tutto rosa perché vedi in un altro il completamento e il futuro. È la stessa follia che, se l'altro ti priva di quel completamento e di quel futuro, può spingere a uccidere e a morire. Né la sociologia né la psichiatria reggono, di fronte alla follia dell'amore, e ben lo si vede confrontando due casi accaduti uno dietro l'altro. Il ventenne che a Milano trascina giù dall'ottavo piano, in un (...)

(...) ultimo volo, la ragazza che non lo vuole più; il settantunenne che a Siracusa lancia acido muriatico su una sessantenne che lo respinge, e poi lo beve per morire. In questi casi si torna subito a percorrere il viottolo obbligato del cosiddetto «femminicidio», che sembra una scoperta di oggi, ma che ha radici profonde, risalenti all'idea primitiva di una doverosa sottomissione della donna, per cui se non sei sottoposta ti punisco.

È forse inutile anche frugare fra i meandri delle condizioni socioeconomiche e ambientali, il ragazzo adottato da una famiglia che poi si è separata, il residuo d'arcaismo virile nel profondo sud: i siciliani respinti e i ragazzi fragili sono milioni, e a milioni superano il problema senza effondere il sangue, proprio e altrui. È forse inutile anche perdersi nei meandri della patologia mentale, quella – più o meno momentanea – incapacità di intendere e volere che serve agli avvocati per attenuare la condanna inevitabile. Può darsi che quella «momentanea incapacità di intendere e volere» esista davvero, che abbia un senso giuridico e medico, se la si intende come incapacità di distinguere il bene dal male, ciò che è giusto e lecito fare da ciò che proprio non si deve fare. Ma credo che il tardo spasimante siciliano e il bel ragazzo brasiliano volessero, fortemente volessero, fare quello che hanno fatto, intendendo benissimo di cosa si trattava: la distruzione di te che non mi ami, insieme alla distruzione di me che non sono amato.

Ripeto, non si tratta di un discorso medico o legale, non suggerisco pene esemplari, perdono, giustificazioni. Voglio ricantare invece, cupamente in questa occasione, la frase che ci ronza nella testa sin da prima che la scrivesse W. H. Auden, in quella forma così perfetta: «Ditemi la verità, vi prego, sull'amore», e me ne vengono in mente alcuni versi: Per l'odore può ricordare una lama? Ho trovato che vi si accenna nelle cronache dei suicidi. La smetterà quando si vuole un po' di pace? Può diventare una lama, sì, quando non è più soffice come un cuscino, può entrare nelle cronache dei suicidi, quando si smette di disegnare cuori anche sugli orari ferroviari, e quando non ti dà più pace può diventare il più crudele dei tormenti, fino a trovare consolazione solo nella morte, la tua e la mia.

No, non buttiamola sempre sul, grave, problema del femminicidio.

L'amore deluso – darà una svolta alla mia vita? – che si trasforma in odio è «soltanto» uno dei sentimenti più antichi e brutali. Forse, se il ragazzo o l'anziano avessero letto questa o altre poesie, prima del furore, sarebbero ancora innocenti.

@GBGuerri

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