Gioca d'equilibrismo Giuseppe Conte. E se a parole, anche in privato, prende le distanze dal M5s, nei fatti gli concede l'ennesimo rinvio, rimandando ancora una volta qualsiasi voto parlamentare sul Mes. Un tema così sensibile che in questi giorni in cui il Movimento è in fiamme potrebbe davvero diventare la miccia di una sempre meno improbabile scissione.
Insomma, premier di governo ma pure di lotta. Che è serio e compìto nel suo ruolo istituzionale quando - sullo sfondo dei giardini di Villa Phamphili per l'ennesima conferenze stampa - dice di reputare «non opportuno» esprimere un giudizio su «vicende interne a singole forze politiche che sostengono la maggioranza». Meno coscienzioso e decisamente più brusco quando ottiene di trasformare in una semplice «informativa» le previste «comunicazioni» in vista del Consiglio Ue di giovedì che si terranno domani alle Camere. Un dettaglio non lessicale, visto che nel secondo caso si possono presentare risoluzioni che verrebbero quindi votate, mentre nel primo no. Semplici comunicazioni del premier, dunque, alla stregua di una diretta Facebook. Come già avvenuto a fine aprile, altra occasione in cui Conte andò sì a riferire in Parlamento sul corposo pacchetto di misure anti-crisi in preparazione a Bruxelles, ma senza che fosse possibile alcun voto. Domani, stesso spartito. Così da salvaguardare la stabilità - politica e pure psicologica - di un Movimento che è ormai sull'orlo di una crisi di nervi. Perché il passaggio chiave sarebbe stato, inutile dirlo, sul Mes. E il ministro degli Esteri Luigi Di Maio - che ha ormai da giorni deciso di calare le braghe davanti all'inevitabile - ha bisogno di altro tempo per preparare la strada a quella che sarà un'altra gigantesca conversione a «U» del M5s. Che poi, con l'esperienza fatta con Tav e Tap, si poteva supporre che una certa confidenza con le strambate improvvise ormai l'avesse presa.
Già, perché appare ormai scontato che in luglio il governo italiano - come pure Spagna e Portogallo - accetterà di utilizzare i 36 miliardi di euro a interessi quasi zero messi a disposizione dal Meccanismo europeo di stabilità. Ormai è questione acclarata, nonostante Conte sia costretto - ancora una volta - a fare l'equilibrista. Se in privato e nei colloqui con i partner europei il Mes non è mai messo in discussione, in pubblico sceglie di tutelare il M5s e fa il possibile per non aprire fronti. «Come governo abbiamo detto che in questo momento non c'è necessità di attivare il Mes, ma - dice il premier - dovremmo costantemente aggiornarci perché non ci sono certezze. Semmai dovremmo fare delle valutazioni, le faremo con il Parlamento».
E quest'ultimo passaggio, un po' un calcio negli stinchi lo è stato per molti. Non solo per le opposizioni che ovviamente vorrebbero arrivare a un voto delle Camere proprio sul Mes, così da mettere nero su bianco la spaccatura interna al M5s. Ma pure da chi, come la senatrice di +Europa Emma Bonino, era intenzionato a presentare sul tema una risoluzione proprio per fare chiarezza. D'altra parte, al netto di come la si pensi, è cronaca il fatto che il Parlamento non si esprime sulla nostra politica europea ormai dallo scorso febbraio. Palazzo Chigi, insomma, si muove senza un mandato delle Camere dai tempi pre-Covid, politicamente un secolo fa. «Da allora - dice Bonino - è successo di tutto: Sure, Mes, Bei e Recovery fund». Decisioni «storiche» - spiega il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova - «senza che il Parlamento abbia potuto esprimersi una sola volta».
D'altra parte, con l'abitudine ai Dpcm prima (in piena emergenza coronavirus) e alle stanze chiuse del seicentesco Casino del Bel Respiro poi (con la passaerella degli Stati generali), il premier una certa consuetudine con le Camere sembra averla ormai persa.
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