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La nuova Resistenza rossa: restare attaccati alla poltrona

De Luca è l'ultimo esempio. Come lui anche Crocetta, Marino ed Emiliano. A sinistra le dimissioni non sono contemplate, vietato lasciare la carica

La nuova Resistenza rossa: restare attaccati alla poltrona

Attimi di panico nel Pd. È successo ieri mattina, durante i lavori della Conferenza delle Regioni, quando le agenzie hanno diffuso la notizia che il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, aveva rassegnato le proprie dimissioni. Di-mis-sio-ni? Per nulla avvezzi al termine, nonché a certe finezze della politica, i più giovani del manipolo renziano ci sono cascati, pensando alla questione delle firme false. C'è voluta la pazienza del portavoce, nonché una nota ufficiale di spiegazioni della vice segretaria Debora Serracchiani, per chiarire che si trattava delle dimissioni «tecniche e dovute» da presidente di quel (quasi) inutile consesso. Niente paura, però: «Lo ripresenteremo, non è in discussione». Macché; detto da una che se ne intende, essendosi incollata alla poltrona del Friuli, la smentita ha rincuorato i giovani resistenti.

Meno male. Passasse questa malapianta delle dimissioni, quest'idea insana e insalubre, nel Pd non resterebbe più nessuno. Altro che il monito di Vittorio Emanuele Orlando dopo la rotta di Caporetto, «resistere resistere resistere». La Resistenza gli eredi della sinistra oggi se la giocano in casa, sull'amata poltrona, boia chi molla. Se un tempo ci si dimetteva per fini questioni intellettuali (Vittorini, Calvino, Giolitti) o per battaglia politica, oggi è tutta un'altra storia e fuori spesso ci sono i magistrati. Ce n'eravamo accorti già da tempo, in verità. Tanto per citare Filippo Penati, schiodato a cannonate dal Parlamento (e solo in virtù dell'espressa richiesta del suo mentore Bersani), il gusto di lasciare quando le cose vanno male, i sospetti incombono, l'opportunità della politica imporrebbe, ovvero i carabinieri sono alla porta, non è più merce rara. Sembra proprio maleducazione. Vige quanto affermò la Serracchiani di fronte a una richiesta di dimissioni avanzata dai grillini: «Ripugnante». Sì, ripugna: non ci si può pensare, viene il voltastomaco solo a immaginare la scena dell'abbandono. Così chi può oggi biasimare il governatore siciliano Crocetta, caduto dal fico d'india? «Dimissioni? E perché? Io sono l'unico rottamatore, il Pd dovrebbe andare a Lourdes per ringraziare la Madonna e accendere un cero per me». Come non rimanere ammirati dalla grinta, dalla tempra, dalla resilienza di Vincenzo De Luca, che ha ricacciato per l'ennesima volta dalla finestra la Severino (intesa come legge) affibbiatagli sull'uscio dal premier Renzi? Forte quasi quanto Michele Emiliano, oggi avvinghiato d'amore per la sua portavoce (Elena Laterza), ma già un tempo refrattario al cattivo vezzo della misura: «Non affondo la mia carriera per 4 spigole e 50 cozze pelose».

Non scherziamo. Come restare insensibili al grido di dolore di uno specialista del genere, il sindaco di Roma Ignazio Marino? Se il presidente pidì, Matteo Orfini, ha cercato di risollevare la truppa di Mafia Capitale parlando di «lotta di Liberazione», quello ci ha creduto sul serio asserragliandosi sui (fatali) sette colli. Tenero: «Io ho cacciato i cattivi, quindi se dovessi fare un passo indietro, farei quello che chiede la mafia» ( 7 giugno ). Indispettito: «Non mi dimetto, sono i capibastone del Pd romano a ostacolarmi» ( 9 giugno ). Attonito, dopo alcune battute di Renzi: «Guardarmi allo specchio? Ora vado dal Papa, ma non mi dimetto, neppure se me lo chiedono. E se mi rimuovono, mi devono ricandidare» ( 17 giugno ). Incapricciato: «Non possono costringermi, purtroppo per loro, e non lo farò» ( 25 giugno ). Un marziano che forse mai arriverà alle vette teatrali del sindaco di Napoli, Giggino 'a manetta , in arte de Magistris. Che da pm aveva detto: «Non me ne vado via spontaneamente, mi devono cacciare». All'arrivo della Severino, negando ogni possibilità di dimissioni, ha reagito come in una commedia di Scarpetta: «È arrivata in prefettura? Salutatemela».

Manco fosse la sorella.

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