Un occhio ai monitor, che nel movimento a yo-yo degli indici raccontavano di un lunedì sull'ottovolante per i mercati finanziari, l'altro rivolto alle possibili misure scaccia-crisi delle banche centrali. Strabismo da sala operativa ai tempi del coronavirus. Nervi a fior di pelle e speranze fra i trader, malgrado l'Ocse non ne lasci praticamente nessuna sulla capacità dell'economia globale di uscire indenne dall'epidemia, etichettata come «il più grande pericolo dalla crisi finanziaria del 2008».
È l'evento nefasto e inatteso che ha costretto l'organizzazione parigina a rimetter mano alle proprie stime in modo drastico, in un esercizio in sottrazione rispetto a novembre. Allora c'era un altro mondo, accreditato di un'espansione del 2,9% quest'anno, mentre adesso si formula l'ipotesi peggiore, quella di uno striminzito +1,5% che incorpora il battito rallentato, se non fermo, delle attività produttive, così come lo sconvolgimento delle abitudini di consumo delle famiglie, l'interruzione dei flussi commerciali e il prosciugarsi dei profitti. Una media di crescita così bassa significa in sostanza due cose: molti Paesi andranno in recessione; altri scivoleranno nella stagnazione. Tra questi l'Italia, condannata a veder svaporare l'aumento asfittico del Pil 2019 (+0,3%) e ad appiattirsi in una crescita zero (0,4 punti in meno della previsione precedente) che rischia di impattare sui conti pubblici, sotto stress per uno spread fra Btp e Bund che ieri ha toccato i 180 punti.
È con questi numeri declinati in peggio che le Borse devono fare i conti. Ieri, dopo le vendite da panico della scorsa settimana, l'umore si è fatto però meno nero. Merito anche della volontà espressa dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale di aprire un doppio canale che metterà a disposizione «finanziamenti di emergenza per aiutare i Paesi membri». E domani, giorno di appuntamento telefonico di G-7 ed Eurogruppo, si inizierà a porre in discussione l'ipotesi di qualche iniziativa congiunta. Qualcosa, finalmente, si è mosso. Ed è stato già sufficiente per permettere a Wall Street di rialzare la testa (+3% a un'ora dalla chiusura), di limitare i danni a Milano dal -3% di metà seduta al -1,5% finale, e all'Europa di chiudere in leggero rialzo (+0,5% lo Stoxx600). Ora i mercati si aspettano una mossa, più o meno coordinata, da parte delle banche centrali. Sollecitata, peraltro, proprio dall'Ocse: «Dovrebbero inviare subito un segnale sul fatto che sono pronte ad agire sul coronavirus», ha affermato la capo economista, Laurence Boone. Qualche segnale è arrivato. Alla Bce scricchiola la linea di non intervento prospettata dalla presidente della Bce, Christine Lagarde: «Siamo pronti ad adeguare tutti i nostri strumenti», ha spiegato il vicepresidente dell'Eurotower, Luis de Guindos. E se a Tokyo il governatore della Bank of Japan, Haruhiko Kuroda, è in preallarme («Disposti a tutto per garantire la stabilità dei mercati finanziari»), l'attenzione si concentra soprattutto sulla Federal Reserve. Le parole pronunciate venerdì scorso dal suo capo, Jerome Powell («Agiremo in modo appropriato»), non hanno convinto Donald Trump, tornato ieri ad attaccare con l'accusa di «essere lenti ad agire. Altre banche centrali sono molto più aggressive. Dovremmo guidare, non seguire!».
Le attese sono per un taglio dei tassi Usa dello 0,50% nella riunione del 18 marzo, anche se gli investitori si tengono pronti per la standing ovation se domani, in una replica di quanto andato in scena nel 2008, i sei principali istituti di emissione daranno una sforbiciata in sincrono al costo del denaro.
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