Coronavirus

Conte pressato da tutti s'aggrappa all'opposizione. Domani il nuovo decreto

Cinque ore di vertice ieri, con i capidelegazione della maggioranza e i tecnici del Cts. Riunione di emergenza governo-Regioni oggi, poi Conte vedrà i capigruppo di maggioranza e (forse) di opposizione.

Conte pressato da tutti s'aggrappa all'opposizione. Domani il nuovo decreto

Cinque ore di vertice ieri, con i capidelegazione della maggioranza e i tecnici del Cts. Riunione di emergenza governo-Regioni oggi, poi Conte vedrà i capigruppo di maggioranza e (forse) di opposizione. Domani, infine, un nuovo dpcm, che il premier dovrebbe annunciare in Parlamento e varare, come al solito, nottetempo.

Cercando, stavolta, di coinvolgere nelle scelte anche il centrodestra: in calo nei sondaggi, in scontro con i presidenti di Regione, in crescente difficoltà nella maggioranza, il premier non vuole diventare bersaglio dell'opposizione parlamentare, oltre che delle piazze: «Se avessimo un luogo dove confrontarci celermente per arrivare a decisioni veloci, il governo sarebbe ancora più sereno nel prenderle», ha spiegato ieri, avallando l'ipotesi di una «cabina di regia» di unità nazionale, per condividere il peso dell'emergenza, che dovrebbe essere guidata dal ministro Speranza.

A livello nazionale dovrebbero arrivare nuove regole per gli orari dei negozi, per gli spostamenti interregionali, forse ulteriori limiti per bar e ristoranti, per le attività sportive e quelle estetiche. Sulla scuola la ministra Azzolina è rimasta isolata: anche il premier, che fino al giorno prima aveva difeso la sua linea, ieri ha sterzato, e si affaccia l'ipotesi di mantenere la didattica in presenza solo fino alla seconda media. Un giro di vite generale che dovrebbe accompagnare l'istituzione di nuove zone rosse e di lockdown «mirati» nelle regioni più in sofferenza.

Alla decisione di accelerare su una nuova stretta nazionale (e non solo locale, come ipotizzato ieri mattina) Conte è arrivato strattonato e sospinto: un po' dai governatori, che non vogliono vedersi accollare l'onore e l'onere di annunciare nuovi lockdown; un po' dall'allarme dei tecnici per la risalita sempre più rapida della curva dei contagi; un po' dall'interno della maggioranza. Persino quella constatazione apparentemente generale fatta dal commissario Ue all'Economia Paolo Gentiloni («Credo che sia abbastanza inevitabile arrivare a decisioni drastiche») è stata letta da molti come un monito a Palazzo Chigi. Mentre dall'entourage di Conte si spiegava che di nuove strette generalizzate via dpcm non si sarebbe parlato fino all'8 novembre, perché «prima bisogna misurare gli effetti delle misure già prese», il ministro degli Esteri Gigino Di Maio annunciava serafico, scavalcandolo, che «il prossimo dpcm sarà più restrittivo, non certo di allentamento delle misure: dobbiamo prendere decisioni per evitare che la situazione peggiori». E un pressing simile, anche se a porte chiuse e senza dichiarazioni pubbliche, arrivava sul premier dai ministri Pd, a cominciare dal capo delegazione al governo Dario Franceschini. Lo stesso che pochi giorni fa si sfogava con i compagni di partito: «Fosse per Conte, non avrebbe fatto niente: frenava qualsiasi misura anti-contagio a rischio di impopolarità».

A inizio giornata il ministro degli Affari regionali Boccia, in sintonia col premier, parlava di «qualche settimana di stop in alcuni territori, perché l'indice Rt non è uguale dappertutto». Pronta arrivava la replica del governatore campano De Luca: «È una stupidaggine chiudere Milano o Napoli, non servono misure a metà. È il momento di interventi di carattere nazionale». A sera, il premier si arrende: metterà mano al quarto intervento in sole tre settimane.

Nella speranza di allontanare lo spettro incombente di un nuovo lockdown totale.

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