Open, Renzi convince il Senato. "C'è in gioco la Costituzione". Solo M5s e Leu votano contro

"Sarà un intervento di quelli che restano. Da far tremare l'Aula". Parola di Renzi (foto). Parola mantenuta

Open, Renzi convince il Senato. "C'è in gioco la Costituzione". Solo M5s e Leu votano contro

«Sarà un intervento di quelli che restano. Da far tremare l'Aula». Parola di Renzi (foto). Parola mantenuta. Se il voto di Palazzo Madama era scontato (167 sì e 76 no), si era comunque tutti in trepidante attesa del discorso che il leader di Italia viva avrebbe regalato ai suoi colleghi senatori. L'attesa è stata ripagata a dovere.

Complici anche i numeri. Era il 22 febbraio del 2104 quando lo stesso Renzi giurava fedeltà nelle mani di Giorgio Napolitano. Al leader di Italia viva però preme ricordare soprattutto quel 22 febbraio del 1943 quando il potere nazista giustiziò i ragazzi della Rosa bianca. Colpevoli di aver alzato la testa contro la dittatura.

Ed è da qui (con la classica e quasi scontata citazione di Calamandrei: «Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra») che parte il leader di Italia viva per mettere in guardia i suoi colleghi senatori a non commettere l'errore di sottovalutare l'entrata a gamba tesa di quei giudici che «non si sono preoccupati di tracciare i flussi dei finanziamenti - tutti perfettamente tracciati - ma di giudicare le regole del fare politica».

All'aula di Palazzo Madama si è arrivati per il conflitto di attribuzione. La Giunta aveva già dato parere favorevole a dicembre scorso dicendo che deve essere la Consulta a stabilire se sia stato giusto o meno da parte dei pm fiorentini il sequestro di corrispondenza privata di un senatore della Repubblica senza la previa autorizzazione del Senato. Il caso prende corpo dall'inchiesta della Procura di Firenze sulla fondazione Open. Per questa inchiesta la Procura ha già chiesto il rinvio a giudizio di Matteo Renzi e di altre dieci persone. Renzi, però, lo dice chiaramente in Aula: non ho paura di arrivare davanti ai giudici. Le cinque sentenze della Cassazione che hanno già definito illegittimo l'uso di quella «corrispondenza» da parte dei pm fiorentini dimostrano che l'«indiziato» è in una botte di ferro giuridica. E questo Renzi lo sottolinea chiaramente giocando anche con le rime. «Qui non si discute sulla fondazione Open ma sulla Costituzione». E il riferimento è all'articolo 68 della nostra Carta. Nessuno è al di sopra della legge. Nemmeno i pm, dice. «L'impunità non è consentita a nessuno, non ai parlamentari ma nemmeno ai magistrati. Se c'è un'ipotesi di non rispetto della legge - dice -, richiamare l'attenzione di altri magistrati ad andare a verificare è un atto di civiltà. Non stiamo compiendo atti eversivi».

D'altronde l'aspetto più inquietante dell'inchiesta, a suo dire, non è il problema della provenienza dei fondi di Open. «L'indagine non vuole mettere in discussione i denari, della cui tracciabilità nessuno dubita - ricorda Renzi - L'indagine parte dall'assunzione che sia un giudice a stabilire cosa sia una corrente, come debba organizzarsi. Un giudice penale». Per Renzi, quindi, è in ballo nient'altro che il principio della separazione dei poteri. «Dove un giudice penale interviene nelle dinamiche organizzative della politica fa venire meno i concetto di separazione dei poterei e la libertà del parlamento di stabilire le regole della politica. Nelle democrazie non è un giudice che definisce cosa sia un partito e cosa no».

Il senatore di Italia viva chiama tutti in causa: dai giudici ai politici stessi. Fino ai giornalisti. «Se in un Paese come il nostro diventa più appetibile per i giornali la velina di una Procura che le sentenze della Corte di Cassazione siamo davvero messi male e rischiamo di finire nelle mani del più miope populismo».

Se il voto sul conflitto di attribuzione era scontato, con la sua intemerata Renzi è riuscito a piazzare due colpi notevoli. Il primo è stato di dividere Pd (favorevole) e Movimento grillino (contrario, così come Leu). E il secondo è stato quello di unire Carlo Calenda e Matteo Salvini. Per una volta uniti nel dichiararsi dalla parte del senatore di Italia viva.

«Da Renzi mi separa se non tutto tantissimo, ma non lo combatterò mai a colpi di magistratura», dice il leghista. «Sono fin troppo distante da Renzi sul piano politico ma su questa vicenda può contare sul nostro sostegno», replica Calenda.

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