Non solo la protezione umanitaria di quanti in questi venti anni hanno collaborato con le istituzioni italiane in Afghanistan (familiari compresi, stando alle stime della Farnesina ci sarebbero ancora da esfiltrare quasi tremila persone). Ma anche il rischio terrorismo e il timore che quanto sta accadendo a Kabul in queste ore sia il prologo a un'emergenza migratoria simile a quella che nel 2015 seguì la guerra civile in Siria. Uno scenario che tra Palazzo Chigi, la Farnesina e il ministero della Difesa considerano - a seconda dell'interlocutore - tra il «possibile» e il «probabile». Per una previsione più concreta, fa notare un autorevole esponente di governo, «saranno decisive le prossime settimane», quando avremo più chiaro quale davvero sarà l'approccio dei talebani nei confronti delle donne e delle minoranze tagiche e azere. A quel punto, forse, si potranno fare ipotesi davvero affidabili sui flussi migratori che dall'Afghanistan (38 milioni di abitanti) potrebbero riversarsi in Pakistan (con destinazione India) o in Iran (direzione Turchia). In verità, in pochi nutrono grandi speranze, nonostante i toni concilianti usati ieri in conferenza stampa dal portavoce talebano Zabihullah Mujahid. «Parole delle quali è bene prendere atto, ma mantenendo un prudente scetticismo», spiega Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Esteri.
D'altra parte, è esattamente questo il comune sentire dell'Europa. Così come quello di Mario Draghi, che - a testimoniare quanto la situazione sia seria - proprio ieri ha deciso di concedere la sua prima intervista da quando, ormai sei mesi fa, si è insediato a Palazzo Chigi. Lo ha fatto con il Tg1, scegliendo per l'occasione di tornare a Roma per tracciare una sorta di road map della crisi in corso. Due i capisaldi: «accoglienza» e «sicurezza». Punti, assicura Draghi, sui cui l'Europa «sarà all'altezza». L'accoglienza «nei confronti di tutti coloro che ci hanno aiutato in Afghanistan in questi anni e alle loro famiglie» e di quanti «si sono esposti per la difesa delle libertà fondamentali, dei diritti civili, dei diritti delle donne». Un piano «complesso», che richiede un coordinamento stretto fra tutti i Paesi, «in primis quelli europei». Un'unione che deve essere mantenuta anche in merito alla sicurezza dove è necessario «prevenire infiltrazioni terroristiche». Questioni che l'ex numero uno della Bce ha affrontato ieri mattina in un colloquio telefonico con Angela Merkel. Secondo Draghi, peraltro, la sede naturale dove davvero «poter avviare un'opera di collaborazione» è il tavolo del G20, dove siedono anche paesi come «la Cina, la Russia, l'Arabia Saudita e la Turchia», che sullo scacchiere afghano giocano un ruolo chiave.
La priorità di oggi, dunque, è portare a termine la cosiddetta «operazione Aquila». Che, spiega il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè, «è già cominciata» e «riprenderà a breve», con «nuovi ponti aerei» da Kabul «appena verrà ristabilito l'ordine». Ma a Palazzo Chigi si inizia a ragionare anche sul rischio che la crisi in Afghanistan si porti dietro - già nel breve periodo - una nuova ondata migratoria, proprio come accadde nel 2015 dopo la guerra civile siriana.
In quell'occasione la Germania accolse circa un milione di rifugiati, dando un importante contributo all'accoglienza europea, in particolare ai Paesi di primo approdo come l'Italia. Cosa che difficilmente si ripeterà, complici anche le elezioni politiche in programma il prossimo 26 settembre.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.