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Ora Letta rispolvera L'Ulivo: "È sempre stato un modello"

Il segretario dem è a corto di idee e sogna di ricreare un bipolarismo perfetto come quello del 1996, quando per battere il centrodestra unito la sinistra creò l'antesignano del Pd

Ora Letta rispolvera L'Ulivo: "È sempre stato un modello"

Il ritorno al passato di Enrico Letta, un leader che ha una visione del futuro talmente spiccata che vorrebbe metterla in pratica rispolverando le mummie sepolte nell'abisso di una stagione politica morta e sepolta. Come L'Ulivo.

La "vittoria senza merito" del Pd alle amministrative caratterizzate più dalla litigiosità del centrodestra che dalle innovative proposte politiche del fronte progressista che, infatti, vuole progredire talmente tanto da rifarsi ad un progetto di 26 anni fa, ha spinto Letta a voler riproporre la contrapposizione "ordine contro caos" anche alle prossime politiche. Da qui il richiamo all'Ulivo che, all'epoca, non serviva ad altro che ad ostacolare l'ascesa di Silvio Berlusconi che era riuscito a federare tutta un'area intorno al Polo per le libertà (con Fini e Casini).

In un'intervista a La Stampa, Letta ha detto:"L'Ulivo per me è sempre stato un modello perché ha avuto una grande capacità di partecipazione ed espansione andando oltre alla classe politica. È quel che mi piace di questo risultato, che è andato oltre i partiti. Due personaggi come Tommasi e Fiorita, un calciatore e un professore ai lati opposti dell'Italia, dicono che è quella la strada. Mettere in campo una nuova classe politica. So benissimo che non bisogna ripetere le cose del passato, nell'anno che abbiamo davanti dobbiamo elaborare un progetto, un nome, un programma e dei contenuti per una nuova coalizione".

Con "andare oltre la classe politica" Letta si riferisce probabilmente all'idea di consegnare le chiavi di un intero contenitore politico ad un profilo "esterno", come lo fu Romano Prodi per le politiche del 1996. Oggi, va da sé, il Prodi della situazione dovrebbe e vorrebbe essere lui, il federatore di un campo largo che va dalla sinistra al centro moderato, passando per il Movimento 5 Stelle (sia contiano che dimaiano) e capitanato ovviamente dal Pd.

Letta insomma, prima di tutto, vorrebbe riproporre il bipolarismo quasi perfetto che c'era allora, e che, contando sulle crisi di identità del centrodestra, garantirebbe al suo fronte una maggioranza perenne: "Queste amministrative - ha aggiunto Letta - le abbiamo vinte nonostante il gioco dei veti incrociati. A Verona, a sostenere Tommasi c'erano sia Calenda che Conte. Vorrei che si cominciasse a separare l'immagine dalla sostanza. Capisco che queste forze debbano trovare una loro identità, per noi è più semplice. Il Pd è il fratello maggiore, ma a un certo punto bisogna pensare a unire".

Inebriato dalla "vittoria purché sia", Letta non vede, o finge di non vedere, che lo scenario politico italiano è più frammentato che mai, che l'unico collante in grado di tenere insieme lui e Renzi, Conte e Di Maio, la sinistra radicale e Azione, sarebbe il Mario Draghi di turno. Non certo il Letta di turno, che come unica narrazione politica non fa altro che riproporre lo stesso meccanismo psicologico dell'evocazione della lotta contro l'uomo nero, ieri l'altro Berlusconi, ieri Salvini, oggi Meloni.

Ma quello che Letta crede sia un trionfo politico, altro non è che uno schema infantile e retrogrado che non fa bene prima di tutto al Paese. Perché il più grande nemico del bipolarismo che sogna Letta è l'astensionismo. Un terzo polo gigantesco che ha superato ormai stabilmente il 50% e che è il frutto di una disaffezione delle persone nei confronti della politica al grido di "sono tutti uguali". A produrre questo senso di impotenza hanno contribuito certamente i finti proclami rivoluzionali del Movimento 5 Stelle e le scelte "governiste" della Lega (e lo stesso rischio lo sta correndo Fratelli d'Italia), ma anche e soprattutto la lontananza dal mondo reale del Pd.

"Ci sono tante famiglie - ha concluso Letta - colpite duramente dall'inflazione, dal caro energia e dalla precarietà del lavoro. Se non diamo immediatamente un segnale, se non torniamo a parlare a quelli che non ce la fanno, arriveranno i gilet gialli italiani che di certo non voteranno per noi. Quei voti andrebbero al populismo, che sostanzialmente finisce a destra. Come ha dimostrato il voto francese. Per questo bisogna pensare anche ai giovani, mettendo fine agli stage gratuiti.

Il primo lavoro di un ragazzo dev'essere ben pagato, non si può arrivare poveri e precari oltre ai trent'anni, altrimenti non chiediamoci da dove arriva la denatalità".

Il problema è che, spesso e volentieri, sono proprio le categorie elettorali che di votare non hanno più alcuna intenzione. E, se votassero, non appoggerebbero il Pd. Né tantomeno L'Ulivo.

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