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L'ultimo delirio di Orsini: "I bambini felici anche in dittatura"

Ospite di Bianca Berlinguer il prof. della Luiss sostiene che sia meglio essere vivi in dittatura che morti a causa della guerra. Dice di essere l'uomo dei ragionamenti "complessi" e invece fa il semplicista

L'ultimo delirio di Orsini: "I bambini felici anche in dittatura"

Il palcoscenico televisivo cambia le persone. I loro connotati, i loro codici comunicativi, le loro narrazioni. Talvolta, rischia di sconfessare anche alcuni mantra che gli ospiti nei talk hanno sempre professato.

Qualcosa di simile sta succedendo al prof. Alessandro Orsini. Dal momento dell'inizio della guerra in Ucraina il docente della Luiss è diventato il motore immobile di molti dibattiti televisivi per le sue posizioni non proprio ortodosse. Spesso e volentieri Orsini è stato accusato di essere filo-Putin e filorusso per aver, a suo dire, tentato di tracciare un solco storico, culturale e geopolitica più "complesso" degli eventi in corso di svolgimento.

Orsini, dunque, visto il suo background accademico, crede che nei salotti televisivi chi lo accusa abbia solo voglia di ridurre all'osso e semplificare più possibile i processi che hanno portato al conflitto. Lui, al contrario, è scomodo e pericoloso perché "rovina la narrazione". Eppure, col passare dei giorni, la sensazione è che anche Orsini abbia imparato "la legge della tv" e abbia iniziato ad abbandonare le analisi complesse a beneficio dei concetti semplici e retorici che fanno share.

Ieri a Cartabianca su Raitre, ospite di Bianca Berlinguer (gratis, dopo le polemiche sul suo cachet), al termine di un ragionamento si è lasciato andare ad un passaggio davvero discutibile circa lo stato di salute dei cittadini in regimi ibridi o addirittura autoritari: "Io non ragiono in un'ottica politica ma umanitaria: preferisco che i bambini vivano in una dittatura e non muoiano sotto le bombe in nome della democrazia - ha detto -. Un bambino può essere felice anche in una dittatura".

Davvero poco elegante utilizzare la vita dei bambini nell'analisi sociologica e antropologica di una civiltà. Posto che sia difficile immaginare un Orsini come "arbitro di felicità" e che sia quantomeno pretestuoso pensare che in fin dei conti si possa vivere bene anche in dittatura quando però in dittatura ci vivono gli altri, il punto è che il ragionamento di Orsini è tanto semplicistico quanto quello di chi pensa che il proprio modello di società sia il migliore, o addirittura l'unico possibile. Orsini, insomma, commette lo stesso errore di cui sostiene di essere vittima.

È chiaro a tutti che la vita di un bambino sia la cosa più preziosa in assoluto a prescindere da dove abbia avuto la fortuna o la sfortuna di nascere, ma non è granché etico utilizzare come "scudo" retorico i bambini per far passare il messaggio che la guerra in Ucraina debba finire prima possibile ad ogni costo. O che in generale ogni processo sociale, diplomatico e politico che finisce per tradursi in conflitti armati, in devastazione e in morte di civili innocenti debba essere analizzato dicendo: "Meglio evitare perché in fin dei conti anche se si vive, male, meglio questo che la guerra".


Più che un'analisi elaborata da un fine accademico, sembra la scoperta dell'acqua calda.

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