Ora la politica scopre il giallo

di Antonio Signorini

È un sintomo di crisi camuffato da vitalità. Tutti capiscono quanto le magliette colorate indossate da militanti in festa siano un modo per distogliere l'attenzione dal disinteresse del mondo intorno, eppure la politica post ideologica insiste nell'usare tonalità sgargianti. Più forti sono, maggiore è la carenza di idee.

A questa regola non sono sfuggiti i principali esponenti dell'antipolitica, il Movimento 5 stelle, né il loro principale nemico, Matteo Renzi. Per un caso (o forse no) entrambi hanno scelto le magliette gialle, quasi fluo, come simbolo della mobilitazione primaverile. Ufficialmente per un caso (a questo punto sicuramente no), il segretario Pd le ha fatte indossare ai giovani Pd per ripulire Roma, invadendo il campo del sindaco pentastellato Virginia Raggi, sapendo che quello è il colore ufficioso del movimento. E quando già era in programma la marcia «per il reddito di cittadinanza» del popolo grillino (anche questa, a ben vedere, un'invasione di campo. Il corteo Perugia Assisi originale era quello «Per la pace» presidiato dal Pci-Pds-Ds).

Prima del crollo del comunismo i colori erano parte dell'identità politica. Tra rosso e nero c'era una separazione netta. Il bianco dei moderati Dc appariva volutamente come una non scelta. La fine delle ideologie ha regalato un proliferare di arcobaleni che cercano di sommare i residui di una politica al capolinea. Drappi multicolore sono stati avvistati ieri alla manifestazione pro immigrazione di Milano. Poi arrivò l'azzurro di Silvio Berlusconi che significava: il Paese è uno e non servono divisioni.

Non sono mancati i tentativi di riproporre il colore come elemento divisivo. Il popolo viola aveva scelto la tonalità luttuosa per combattere lo stesso Berlusconi.

Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris l'arancione. Diversamente rosso. Con le magliette gialle, il colore degenera in marchio al centro di una guerra di brevetti. Niente che possa combattere il grigiore percepito dagli italiani.

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