Avanti così e le ragazze nate quest'anno avranno il 75 per cento di possibilità in più di andare all'università rispetto ai loro coetanei. In un decennio, il divario tra maschi e femmine eclisserà e supererà quello tra ricchi e poveri. È un futuro molto rosa ma altrettanto disequilibrato quello immaginato dal principale think tank indipendente britannico specializzato nella formazione superiore. La previsione è che la popolazione universitaria tra qualche decennio sarà quasi esclusivamente femminile. Uno spaccato inquietante per il futuro dei maschi nella scuola, nell'università e dunque - chissà - forse anche nella società. Ma quel che salta all'occhio nel report di Hepi (Higher Education Policy Institute) - e che sta facendo parecchio discutere il mondo della scuola e dell'università inglesi - è il parere degli esperti che accompagna i dati. Secondo Mary Curnock Cook, la donna che da anni si occupa di incentivare la progressione scolastica e l'accesso all'università nel Regno Unito, tra le ragioni che accrescono il divario maschi-femmine ce n'è una cruciale che potrebbe essere corretta con un intervento dall'alto: «Il dominio delle donne nella forza-lavoro scolastica è probabile che giochi un ruolo nelle scarse performance dei ragazzi rispetto alle ragazze». Per la presidente di Ucas (Undergraduate Courses At University And College) il gap non è dunque solo una questione neurologica, legata al fatto che il cervello delle donne matura prima di quello degli uomini. Non dipende esclusivamente dal fatto che i maschi sono più svogliati o faticano a rimanere concentrati e fermi più a lungo. Le performance sempre più deludenti dei maschi dipenderebbero anche dalla prevalenza di donne nel mondo della scuola. Come dire: ridateci il maestro o i maschi saranno dei disadattati, addirittura tagliati fuori dal mondo accademico. Si tratta di una conclusione teorica e non scientifica, precisa la Cook. Che però troverebbe una correlazione fra i numeri e le sue conclusioni: «Così come le prestazioni dei ragazzi alla maturità sono peggiorate rispetto a quelle delle ragazze, allo stesso modo è aumentata la proporzione di docenti donne a scuola». La Cook non ha dubbi e si basa su una lunga esperienza personale: «Rimango istintivamente convinta che, come in qualsiasi altro ambito della vita, lo squilibrio di genere procurerà ulteriore squilibrio».
Dal Regno Unito all'Italia il fenomeno della «femminilizzazione» della scuola non è nuovo. Ed è un trend in continua ascesa. Quattro università su cinque hanno più studentesse che studenti in Gran Bretagna. Il dato italiano (fonte Miur, anno accademico 2014/2015) conferma la tendenza: sono 929.527 le femmine che compongono la popolazione universitaria contro 723.065 maschi iscritti nelle nostre università. Lo stesso vale per le matricole 141.379 femmine e 113.915 maschi. Poi c'è la classe insegnante: ci sono 455mila docenti nelle scuole pubbliche della sola Inghilterra e il 74% è donna (fino al 1993 gli uomini erano la maggioranza). Anche in Italia le prof sfiorano l'80% del corpo docente.
«Superare il vuoto di figure maschili nella scuola potrebbe certamente migliorare i rendimenti scolastici dei maschi e appassionarli di più», spiega lo psicoterapeuta dell'età evolutiva Alberto Pellai, autore di Bulli e Pupe (Feltrinelli, pagg. 144, euro 12). «Anche loro hanno bisogno di modelli di ruolo che favoriscano l'accesso all'età adulta - spiega Pellai, che è anche ricercatore presso il dipartimento di scienze biomediche dell'Università di Milano -. Modelli diversi aiuterebbero a scardinare cliché che vedono gli uomini rinchiusi dentro un mondo di azione e le donne dentro un mondo di narrazione».
«I ragazzi necessitano di un esempio, forse più delle ragazze», aggiunge Marcello Bramati, vicepreside al Liceo Scientifico e Classico di Faes, il circuito di scuole paritarie attive da Milano a Palermo e che ritiene la differenza di genere cruciale al punto da aver creato un sistema dove maschi e femmine sono separati durante l'attività didattica dalla scuola primaria al liceo. «I maschi cercano e hanno bisogno del fascino del leader, dell'allenatore o dell'eroe sportivo. Non solo. Un uomo che insegna è la prova che la cultura non è fuori moda, affare di altri. Vedere all'opera un docente maschio, una figura che stimano, li aiuta certamente a immedesimarsi e a rendere di più». Bramati ha un figlio maschio nato nel 2015 e definisce «inquietante» lo studio inglese.
È convinto che alla scuola elementare, dove le maestre sono 9 su 10, l'aumento degli insegnanti maschi smorzerebbe alcune caratteristiche tipicamente femminili dell'ambiente, dall'amore per l'ordine alla cura per i quaderni. «Di certo - conclude - la polarizzazione di un ambiente può avere delle controindicazioni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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