Ora vogliono vietare le proteste contro l'immigrazione selvaggia

Le rivolte di Treviso e di Roma potrebbero essere i primi focolai della ribellione. Ma il governo tratta gli abitanti come tifosi violenti

Ora vogliono vietare le proteste contro l'immigrazione selvaggia

La rivolta a Quinto di Treviso e gli scontri di Casale San Nicola, a Roma, sono i primi due focolai di ribellione innescati dal piano di accoglienza per affrontare l'emergenza immigrazione. Il timore è che non siano gli ultimi. Sono evidenti le tensioni in molte aree del Paese dove i residenti sembrano poco entusiasti della comparsa dei centri di accoglienza. E sul banco degli imputati ci finiscono le decisioni «calate dall'alto», poco partecipate con i territori interessati e, spesso, imposte appunto come misure emergenziali, quindi senza lasciare spazio alla concertazione.

È il caso di Treviso, dove in mancanza del via libera all'uso della caserma (arrivato solo dopo gli scontri), il prefetto Maria Augusta Marrosu aveva deciso di piazzare i migranti nel condominio dove si è scatenata la rivolta. E ieri, dopo il trasferimenti dei 101, ha voluto «ringraziarli» per non aver risposto alle provocazioni.

Così Matteo Salvini se la prende proprio con i terminali sul territorio del Viminale. «I prefetti - ringhia il leader della Lega - devono andare a casa e cercarsi un lavoro, dal primo all'ultimo». Dopo Roma e Treviso, Salvini ringrazia esplicitamente «i cittadini che alzano la testa in tante città», pur auspicando che gli sgomberi avvengano «naturalmente in maniera pacifica». Come quello che il numero uno del Carroccio reclama a Eraclea, la città sul golfo di Venezia che ospita 250 migranti: «È demenziale penalizzare le località di mare - conclude Salvini - bisogna avere dei problemi nella testa a meno che il governo non voglia alimentare lo scontro sociale, voglia far arrabbiare i cittadini. Ci sta riuscendo».

Le immagini delle cariche e dei roghi dal Nord Est alla Capitale sono negli occhi di tutti. E così il capogruppo del Carroccio in Senato, Gianmarco Centinaio, chiede all'«inadeguato» Alfano di riferire in Aula su Roma e Treviso. «Venga a spiegare, se ha coraggio, perché ordina alla polizia di caricare i cittadini che protestano per difendere le loro famiglie dall'invasione di immigrati clandestini», attacca. «Provi a spiegare perché - continua - cittadini onesti che pagano le tasse rischiano oggi la galera mentre ladri, scippatori e stupratori restano a piede libero». E il day after a Roma, dove ieri il magistrato ha liberato Giorgio Mori, non convalidando l'arresto dell'esponente di Fdi dopo gli scontri di venerdì, mentre la Questura valuta di applicare il «Daspo» a quanti saranno individuati tra i partecipanti alla rivolta, porta chiari i segni della tensione latente. I 19 migranti ospiti della ex scuola Socrate trasformata in centro di accoglienza non sono stati fatti uscire dai confini della struttura, tra l'altro lontanissima da bar e zone «urbanizzate», ufficialmente per «questioni organizzative», in attesa che venga istituito un servizio di bus navetta. Fondamentale quando gli ospiti aumenteranno, come previsto dal bando, in modo esponenziale.

Il comitato, intanto, affila le armi e non molla l'obiettivo. I rappresentanti dei residenti invitano il sindaco Ignazio Marino ad andarli a trovare «per rendersi conto delle criticità di questo contesto e delle nostre reali motivazioni», lamentano di essere stati abbandonati dalle istituzioni e negano ogni strumentalizzazione, respingendo le accuse del prefetto di Roma Gabrielli. «Se il problema è il tricolore, ditelo. Altre bandiere qui al presidio non ce ne sono e non ce ne saranno», spiegano, annunciando che andranno avanti «con le azioni legali, perché ciò che sta succedendo sta calpestando i nostri diritti». Il comitato punta in particolare sull'esposto presentato in procura sulla presunta illegittimità della struttura e della partecipazione al bando della cooperativa.

Roma e Treviso sono solo due gocce nel mare

dell'emergenza che l'Italia sta affrontando. Male, per il governatore veneto Luca Zaia, che respinge le accuse di aver fatto l'«incendiario» a Quinto e taglia corto: «L'illusione delle porte aperte ci porterà allo sfascio sociale».

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