"Ospedali per islamiche, neanche nei Paesi arabi"

Il caso di Lodi e l'ira di tre donne musulmane: «Così dal buonismo si passa al fanatismo»

"Ospedali per islamiche, neanche nei Paesi arabi"

Milano Farsi visitare solo da donne, non usare materiali di derivazione suina e magari indossare veli che coprano il volto. Più che norme religiose sono dettami oscurantisti, che in Italia vengono presi in considerazione solo per «eccesso di buonismo». È l'idea che tre donne musulmane, Maryan Ismail, Rania Ibrahim e Katwar Barghout, si sono fatte della «sharia negli ospedali», cioè del tentativo di introdurre direttive ad hoc per le donne islamiche. Il tutto parte da Lodi, dove un primario ha parlato di un progetto per le donne islamiche. L'Azienda sanitaria ha smentito che esista un «protocollo». L'assessore regionale alla Sanità Giulio Gallera ha precisato che si tratta solo di «usare il massimo della sensibilità, scevra da condizionamenti ideologici». Ha escluso che possa esserci un'assistenza tutta al femminile, anche perché non si potrebbero coprire i turni, e quanto ai materiali (usati per le ricostruzioni) ha assicurato che «sono e saranno sempre scelti esclusivamente sulla base della loro idoneità».

Il tema comunque è sempre più aperto. «Il punto non è tanto il bio-materiale, che si può rigettare anche per allergie o altri problemi - riflette sconcertata Maryan Ismail, antropologa italo-somala - il punto è che si sia pensato a un percorso speciale, per esempio con un team al femminile. E se qualcuno non volesse medici africani, o cinesi o musulmani? È la professionalità che deve stare al centro, non altro, la pericolosità sta in questo. Mi chiedo poi perché la cura delle donne debba passare attraverso gli imam e le moschee. Se dovessi avere una peritonite dovrei ricevere l'ok dell'imam?». «Se parliamo di cose delicate come le cure oncologiche, al centro deve esserci il rapporto medico-paziente, non certo la comunità, che non può intromettersi come se la donna fosse di sua proprietà».

Altrettanto allarmata Katwar Barghout, musulmana di origini marocchine. «Questi - avverte - sono i primi sintomi di ideologia e non vanno sottovalutati. Sono cose che non stanno né in cielo né in terra. Siamo oltre la sharia, è pura ignoranza, è non capire dove si vive e la fortuna che si ha. Nei Paesi arabi si usa ancora l'insulina di origine suina, gli antidolorifici contengono sostanze di scarto dei suini e si usano le valvola del medesimo animale per salvare i cardiopatici in giro per il mondo musulmano. Nei paesi musulmani ti visita chiunque, uomo o donna, e se devi fare i capricci paghi una struttura privata. Qui c' anche troppa disponibilità, bisognerebbe dire dei no».

«Mia mamma è musulmana e un mese fa ha subito un intervento - racconta Rania Ibrahim, scrittrice italiana di origini egiziane - l'ultimo dei suoi problemi era sapere se il medico fosse donna. Non per questo è meno musulmana. Alcune amiche preferiscono una ginecologa donna, altre si trovano bene con un uomo, sono scelte personali, come si può tradurre tutto in una direttiva? E l'uso dei materiali? Il Corano certo non lo vieta. Negli ospedali possiamo già mangiare tacchino al posto del maiale, bene, ringraziamo se c'è una sanità pubblica, visto che in Egitto non è così».

«Queste pretese assurde e controproducenti le avanzano solo in Italia, soprattutto persone di recente immigrazione che arrivano da zone rurali: 30 anni di islam politicizzato hanno cambiato le società arabe. La religione però deve stare al suo posto, le differenze non sono ghetti. Sia diano una regolata con questo fanatismo galoppante».

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