La vittoria di Erdogan nel referendum che gli attribuisce poteri quasi assoluti per oltre un decennio non è solo risicata: è sospetta. Quel 51% abbondante di «sì» già conteggiato e certificato in sole tre ore in un Paese non proprio modernissimo come la Turchia solleva dubbi, ad esempio, sulla stampa tedesca (lo ha fatto opportunamente notare il quotidiano Die Welt). Ma sono soprattutto gli osservatori internazionali a giudicare negativamente l'attendibilità del voto. Tana De Zulueta, capo della missione in Turchia dell'Osce, è stata molto esplicita: il referendum non ha rispettato gli standard democratici «per la mancanza di imparzialità che ha fatto sì che il campo di gioco non fosse tutto allo stesso livello». «il referendum si è svolto in un ambiente politico in cui libertà fondamentali essenziali per un processo genuinamente democratico erano limitate a causa dello stato di emergenza e le due parti non hanno avuto uguali opportunità di fornire la propria visione agli elettori». In sostanza, Erdogan ha giocato e vinto una partita truccata.
Lo dimostrerebbe anche l'elevatissimo numero di schede (sono milioni secondo la denuncia del partito laico di opposizione Chp) che sono state considerate valide dalla commissione elettorale nonostante non avessero il timbro prescritto dalla legge. Per non parlare di altre irregolarità che saranno oggetto di imminenti ricorsi dei sostenitori del «no», come gli scrutini avviati e tenuti per ore in molti seggi nonostante l'assenza degli osservatori.
Giudizi severi e praticamente univoci bocciano dunque l'attendibilità del voto, ma è certo che le proteste non sortiranno alcun effetto in Turchia. Anzi, è logico attendersi che Erdogan non si lascerà sfuggire l'occasione per qualificare di traditori della volontà popolare ed eversori tutti coloro, sia in ambito politico che intellettuale e giornalistico, che oseranno alzare la voce contro la legittimità della sua vittoria.
Diverso il discorso per quanto riguarda le ricadute dell'esito del referendum sulle relazioni internazionali della Turchia, in particolare con l'Europa. Sono già molte e qualificate le voci che si sono levate per bollare di regime la Turchia presidenzialista di Erdogan e per chiederne per il futuro l'esclusione dall'Ue a cui tuttora dice di voler aderire.
Il governo austriaco chiede esplicitamente che «Ankara resti fuori dall'Ue», la cancelliera tedesca Angela Merkel usa toni più prudenti ma invita Erdogan a rispondere ai dubbi espressi dagli osservatori internazionali, il vicepresidente dei popolari europei Manfred Weber dice che a questo punto «l'adesione della Turchia all'Ue è fuori discussione». A tutti risponde un Erdogan che altro non aspettava che di poter fare la voce grossa: critiche inaccettabili, il nostro voto è più democratico del vostro, non potete farci la morale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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