Manny Pacquiao, icona del pugilato detentore di titoli mondiali in otto divisioni - e senatore filippino, ha annunciato che si candiderà alle elezioni presidenziali del 2022. Il fighter ha accettato la nomina del suo partito PDP-Laban alla convention nazionale di ieri, impegnandosi a servire «onestamente il suo popolo che sta aspettando un cambio radicale di governo». E ha poi aggiunto: «Per tutta la vita, non mi sono tirato indietro da nessun combattimento. Niente è impossibile se è ordinato da Dio».
Il 42enne, pluricampione del Mondo della boxe, ha spiegato di essere «un combattente, sempre pronto dentro e fuori dal ring». Un'altra fazione del partito, all'inizio di questo mese, ha nominato il presidente Rodrigo Duterte come suo candidato alla vicepresidenza.
Pacquiao, uno dei più grandi pugili di tutti i tempi, ha accettato la nomina dei suoi alleati politici durante l'assemblea nazionale che guida all'interno del partito. La stessa fazione, che in realtà, i critici pensano essere stata fatta per far mantenere il potere a Duterte, al quale in teoria sarebbe proibito correre per un secondo mandato di sei anni come presidente dalla Costituzione.
Il pugile filippino è senatore dal 2016, ed è stato anche deputato. Un tempo era un fedele alleato dello stesso Duterte, ma in questi anni ha anche definito «la micidiale guerra alla droga del presidente come una spinta alla pena di morte».
Di recente Pacquiao ha criticato l'amministrazione per presunta corruzione e la sua posizione sul Mar Cinese Meridionale con gli alleati non alleati di Pechino, in mezzo a una spaccatura nel partito di governo. «Abbiamo bisogno di progressi, abbiamo bisogno di vincere contro la povertà, abbiamo bisogno che il governo serva il nostro popolo con integrità, compassione e trasparenza», ha dichiarato, aggiungendo di essere stufo «delle promesse di cambiamento che non arrivano».
Nonostante la sua popolarità, Pacquiao è dietro ai primi posti nei sondaggi d'opinione, che sono stati costantemente superati dalla figlia di Duterte, Sara Duterte-Carpio.
A luglio, Pacquiao è stato votato come leader del PDP-Laban, settimane dopo aver sfidato Duterte sulla sua posizione sulla Cina e sulla lotta alla corruzione. Il combattente di boxe, un tempo stretto alleato del presidente, aveva affermato che più di 10 miliardi di pesos (circa 169 milioni di euro) in aiuti per la pandemia destinati alle famiglie povere erano stati dispersi.
La sua crociata anti-corruzione è iniziata quando il Senato ha aperto un'indagine sul presunto sovrapprezzo di forniture e attrezzature mediche acquistate nell'ambito del programma di risposta al Coronavirus del governo. Subito dopo, Duterte ha sfidato Pacquiao a nominare uffici governativi corrotti per dimostrare che il pugile non stava solo facendo politica prima delle elezioni.
Il 42enne è profondamente ammirato nella Nazione dell'arcipelago per la sua generosità e per essersi tirato fuori dalla povertà, diventando uno dei pugili più grandi e ricchi del mondo. Le sue credenziali di boxe, insieme alla lotta contro la povertà e la corruzione saranno probabilmente i temi chiave della sua campagna.
Ma allo stesso tempo, Rodrigo Duterte, chiamato in passato con il soprannome de «il Trump delle Filippine», gode
tutt'ora di una grande ammirazione in tutto il Paese, soprattutto nel difficile Sud, dove criminalità e estremismo islamico hanno fatto da padrone per anni e dove lui è nato e cresciuto, cambiando le sorti della regione.
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