Libia, Paese da sempre diviso e solcato dall'odio

Poteri tribali, mal governo e islamismo. Dall'epoca ottomana ai giorni nostri, passando per Gheddafi

Libia, Paese da sempre diviso e solcato dall'odio

Un territorio travagliato, frammentato, che a stento è stato una colonia e che solo la dittatura di Gheddafi, con la forza, ha fatto assomigliare a una nazione. Senza comunque riuscire a far scomparire il sottostante tessuto tribale. Infatti la caduta del colonnello ha portato a un vortice di violenza. In estrema sintesi potrebbe essere questo il filo rosso di La Storia della Libia di Federico Cresti e Massimiliano Cricco che da oggi sarà in allegato con Il Giornale a 8,50 euro più il prezzo del quotidiano.I due storici ricostruiscono nei dettagli la vicenda di questi territori, dalla dominazione ottomana sino alla caduta di Gheddafi.

E la loro ricostruzione aiuta a capire il presente. I confini del territorio libico durante il periodo di controllo turco rimasero fluidi. E anche quando nel XIX secolo i turchi tentarono di creare un'amministrazione più stabile non si andò molto più in là della creazione di alcune piazzeforti e della razionalizzazione della raccolta delle tasse. Non c'erano censimenti affidabili, la popolazione era divisa in cinque gruppi etnici principali: arabi, berberi, arabo-berberi, cologhli e israeliti. La Cirenaica era governata de facto dalla Senussia, confraternita malichita che si impose come forza di mediazione degli odi tribali, l'economia primitiva e caratterizzata dal commercio degli schiavi (una premonizione degli scafisti).La debolezza del controllo della Sublime porta fu uno degli stimoli per l'avventura coloniale italiana dopo che, nel 1882, la Francia occupò, precedendo l'Italia, la Tunisia. Quando nel 1911 si arrivò al conflitto gli italiani si trovarono di fronte a una situazione complessa. Le truppe turche erano scarse ma moltissimi membri delle tribù si sentirono chiamati alla guerra santa.

Ne nacque una guerriglia che si trascinò sino al '32. Gli attacchi dei ribelli erano letali. Le reazioni degli italiani impostate alla terra bruciata. Si fece ricorso all'iprite e ai lager. La situazione cambiò negli anni seguenti, soprattutto grazie all'opera del governatore Italo Balbo. Molti fuoriusciti rientrarono e ci fu una decisa modernizzazione, la creazione di un sistema viario e di villaggi agricoli. Ma non fu un affare. I costi della colonizzazione gravavano pesantemente sull'Italia e la terra coltivabile era insufficiente. Poi fu la Seconda guerra mondiale a scindere le strade di italiani e libici costretti a stare uniti per forza (sotto il re Idris I) dalle pressioni internazionali. E a farne le spese furono la minoranza italiana e, in maniera brutale, la minoranza ebraica. Poi arrivò il petrolio, la minaccia di guerra con l'Egitto e la dittatura di Gheddafi, nata dalla crisi del governo al-Bakkush (che voleva modernizzare il Paese non tenendo però in conto i rapporti tribali).

Gheddafi, capendo la pancia dei libici sfruttò il sistema tribale a proprio favore e fomentò il risentimento anticoloniale, sebbene a fasi alterne, e diede vita a un panarabismo di facciata. Nel 1970 si arrivò all'espulsione degli italiani e alla confisca dei loro beni (garantiti dal trattato del 1956). Gheddafi però si guardò bene dal colpire Eni e Fiat, cosa che avrebbe affossato il Paese. Fu solo uno dei suoi tanti funambolismi.

Ma non bastarono a tenerlo al potere quando la Francia colse al balzo, nel 2011, le primavere arabe (per amor di libertà o di petrolio non sta a noi dirlo).Solo che sotto il clan Gheddafi c'erano altre centinaia di clan, quegli stessi che a noi costarono cari nel 1911. E che oggi costano cari a tutta Europa.

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