Cronache

Palamara ricusa i suoi giudici. "Incompatibili, sono dell'Anm"

Il sindacato si è costituito parte civile. Le due toghe, senza successo, avevano già chiesto di rinunciare

Palamara ricusa i suoi giudici. "Incompatibili, sono dell'Anm"

Ci avevano provato, i due giudici del processo a Luca Palamara, a fare un passo indietro: perché in tasca hanno la tessera dell'Associazione nazionale magistrati, la stessa Anm che nel processo si è costituita parte civile contro il suo ex presidente; e i due giudici avevano fatto presente, correttamente, di essere incompatibili. Ma il presidente del tribunale di Perugia, dove si celebra il processo per corruzione a Palamara e alla sua amica Adele Attisani, ha respinto la richiesta dei due giudici, ordinando loro di andare avanti nel processo. Come se fosse normale che a stabilire se l'Anm fu o non fu vittima di Palamara siano due magistrati militanti nella stessa Anm. La figura del giudice e della vittima nel processo a Luca Palamara coincidono.

Così a Palamara non è rimasta altra scelta che ricusare i due giudici. Lo ha fatto con tutto il tatto possibile, dando atto che loro stessi avevano chiesto di spogliarsi del processo, e che solo l'ostinazione del loro superiore gerarchico li ha costretti a andare avanti. Quindi ieri scatta la ricusazione, e sarà la Corte d'appello di Perugia a dover decidere se i due giudici - che si chiamano Carla Maria Giangamboni e Serena Ciliberto - possono giudicare l'ex leader del loro sindacato.

L'aspetto notevole della vicenda è che a ordinare ai due di restare al loro posto è stato un magistrato che del sistema di potere che ruotava, prima della fragorosa caduta, intorno a Luca Palamara era senza dubbio consapevole. Si tratta infatti di Mariella Roberti, oggi a capo del tribunale del capoluogo umbro e nel 2017 alla guida di quello di Velletri, e legata a Palamara da rapporti di viva cordialità documentati da decine e decine di messaggi che i due si scambiano sui rispettivi telefoni. Quasi sempre il tema sono le nomine che Palamara distribuiva in tutta Italia, e che alla Roberti spesso sembrano stare molto a cuore. In particolare la propria aspirazione alla presidenza di Perugia, per cui ha fatto domanda. Ed è a Palamara che si rivolge ripetutamente. Fino al 14 settembre 2017, quando il Csm le assegna l'agognata carica. «É fatta!», le scrive Palamara. E lei: «Grande! Grazie! Poi ti chiamo quando mi dici» «Ti ho dato l'unanimità». E così via. É la stessa Roberti che oggi decide che è normale che Palamara possa essere giudicato da due sue vittime: «L'agire dei magistrati chiamati a giudicare - scrive la Roberti - non potrebbe certamente essere diverso dalla conduzione di un processo equo con l'espressione di un giudizio indipendente e imparziale».

Contro questa decisione, nella loro istanza di ricusazione i legali di Palamara sottolineano come l'Anm costituendosi in giudizio abbia annunciato anche una ingente richiesta di risarcimento danni a carico di Palamara: «nel caso di accoglimento della pretesa risarcitoria verrebbe ad essere accresciuto il patrimonio dell'Associazione di cui quegli stessi giudici fanno parte».

E nello stesso ricorso Palamara sottolinea d'altronde la doppiezza della linea seguita dall'Anm nel suo caso ed in un'altra vicenda eccellente, quella che ha coinvolto Piercamillo Davigo, anche lui ex presidente dell'associazione: «La richiesta risarcitoria anche dei danni morali formulata dall'Anm - si legge nell'istanza di ricusazione - è un assoluto inedito nel panorama giudiziario», mentre «nessuna costituzione di parte civile risulta annunciata dalla stessa Anm nei confronti del dottor Davigo nell'ambito del procedimento penale pendente nei suoi confronti a Brescia».

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