Il Palazzo sta andando a fuoco e Mattarella non muove un dito
Il capo dello Stato sceglie il basso profilo e lascia campo libero al governo e alle trame di Napolitano. Gli incontri con Pinotti, Franceschini e Fitto
Il capo dello Stato sceglie il basso profilo e lascia campo libero al governo e alle trame di Napolitano. Gli incontri con Pinotti, Franceschini e Fitto

Refrattario da sempre a «essere tirato per la giacchetta», secondo l'usuale anzi lacera espressione parlamentare, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, tace. Ne ha fatto il proprio voto e volto quirinalizio. La moral suasion, la formula ripetuta ai collaboratori, è tanto più efficace quanto più è diretta e lontana dai riflettori, non pone al pubblico ludibrio il destinatario, non è suscettibile di interpretazioni e strumentalizzazioni politiche.
Avrà allora telefonato al giovane premier per raccomandargli una qualche prudenza maggiore nel confronto con la seconda carica dello Stato, nonché un minimo di rispetto per le prerogative delle opposizioni? Il Quirinale, nell'ansia di non finire nel tritacarne quotidiano dei retroscenisti, non dice. «Ogni parola, anche la più banale, in una situazione del genere può sembrare una presa di posizione, del tutto esclusa dal ruolo del Capo dello Stato...».
Un atteggiamento in linea con la preoccupazione sempre espressa da Mattarella sul «rispetto dei propri limiti e delle competenze altrui», sull'attenzione a «non straripare dai propri confini, a non penetrare nell'ambito di competenze altrui, ad appropriarsi di funzioni che spettano ad altri». In soldoni, l'esatto contrario di quanto ha fatto e continua a fare il presidente emerito Giorgio Napolitano, ancora in questi giorni impegnato in prima linea per l'approvazione della riforma di Renzi.
Per Mattarella, parlano i fatti. Vediamoli, quelli di ieri. Il presidente ha ricevuto nell'ordine Roberta Pinotti, Dario Franceschini, Raffaele Fitto. Segno che la moral suasion segue vie imperscrutabili e sceglie i propri ambasciatori con ponderate architetture. Anche perché se la Pinotti è pur sempre ministro della Difesa, Franceschini un vecchio-giovane amico Dc dal quale tastare il polso della situazione, la presenza di Fitto (anche lui protodemocristiano, per via paterna) negli uffici di Mattarella lascia presagire un qualche esercizio non proprio consono. «Non rilascio dichiarazioni», si è chiuso a riccio con il Giornale l'ex superirriducibile degli anti-renziani. Avendo chiesto con urgenza il provvidenziale colloquio presidenziale, è facile intuire che il giovanotto s'offre a Renzi e non soffre affatto per i diritti conculcati delle minoranze in Senato.
Altro fatto certo è come la pensi Mattarella. «Mi auguro che la riforma vada in porto dopo decenni di tentativi non riusciti», il primo punto fermo. I contenuti, però, non sono affatto quelli cari a Renzi, anche se il Colle ha ritenuto che il comportamento del presidente del Senato Pietro Grasso abbia complicato non poco la situazione. La barriera mattarelliana è il profilo presidenziale: «Io ho le mie opinioni, ma ho il dovere di accantonarle». Talora ponendo però garbati accenti su sfumature solo per addetti ai lavori: il «no a un uomo solo al comando», per esempio. O la necessità della «partecipazione, ossigeno della democrazia», che si può chiaramente leggere come favore per tutte le forme dirette e non mediate di eleggibilità.
Invece Beppe Grillo ieri ha postato sul suo blog un intervento del capogruppo Mattarella del 20 ottobre 2005, in occasione delle riforme costituzionali del governo Berlusconi, sottoscrivendone in pieno le dichiarazioni critiche e chiedendo - come tutte le opposizioni - un intervento del Colle per frenare l'onda renziana. Ma anche su questo, il Quirinale nicchia e tace. Limitandosi a ricordare che il Mattarella capogruppo non chiese affatto l'intervento dell'allora presidente Ciampi. A ciascuno il suo, Sciascia docet .
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