Ricchi, ricchissimi manager e uomini d'affari, notai e imprenditori non si negano la «barchetta». Ma tenerla in Italia, è impensabile a causa delle tasse, dell'Iva del 20 per cento da pagare, delle super-imposte sul carburante.
Così queste regge galleggianti finiscono per venire intestate a società offshore con sede in Stati dove non si pagano le imposte.
Lo rivela l'inchiesta che sarà pubblicata su prossimo numero de L'Espresso, in uscita domani, che riguarda proprio le carte segrete dei paradisi fiscali e svela i patrimoni delle offshore marinare. Storie di velieri, panfili e yacht da mille e una notte, i cui nomi e proprietari compaiono nei documenti dei Paradise Papers, 13,4 milioni di file degli studi legali offshore Appleby e Asiaciti passati da una fonte anonima al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ed esaminati da 95 testate partner di Icij, rappresentato in Italia da l'Espresso e Report.
Si scopre così che mentre Vittorio Emanuele salutava Napoli, felice di rientrare In Italia dopo l'esilio, lo yacht della famiglia reale restava a Malta, intestato alla Sabaudia Shipping Company Limited, registrata a La Valletta dal 26 giugno 1991. Sulla offshore maltese L'Espresso ha chiesto chiarimenti ai Savoia e, attraverso un portavoce, ha scoperto che Vittorio Emanuele è azionista della suddetta società, che detiene una barca di 12,6 metri costruita nel 1997.
Una barca personale e non un investimento, spiega il segretario del principe, perché «la società in questione non esercita alcuna attività commerciale». Eppure questa offshore esisteva sei anni prima che l'imbarcazione venisse costruita. Che scopo aveva? Era destinata a gestire altri beni?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.