Il Papa ci ripensa: «Accogliere chi si può»

«Sui migranti è importante il numero. Vanno integrati e non ghettizzati»

Serena Sartini

Ricevere, accogliere, consolare e subito integrare. Accogliere «con la prudenza», ovvero «accogliere tutti coloro che si possono accogliere, per quanto riguarda i numeri». È la ricetta di Papa Francesco sull'immigrazione, richiamando i Paesi europei alle proprie responsabilità, ovvero dando piena attuazione a ciò che prevede l'accordo sulle quote di migranti in ciascuno Stato. Il Papa interviene sul tema in un'intervista al mensile di strada Scarp de' tennis, sostenuto da Caritas ambrosiana e italiana, in vista del viaggio a Milano, il 25 marzo.

Bergoglio non manca di bacchettare l'Unione europea. «Quelli che arrivano in Europa dice scappano dalla guerra o dalla fame. E noi siamo in qualche modo colpevoli perché sfruttiamo le loro terre ma non facciamo alcun tipo di investimento affinché loro possano trarre beneficio». Persone che, secondo Francesco, «hanno diritto di emigrare e hanno diritto ad essere accolte e aiutate». Ma, osserva il Pontefice argentino, anche lui figlio di migranti, «è altrettanto importante una riflessione su come accogliere. Perché accogliere significa integrare e questa è la cosa più difficile perché se i migranti non si integrano, vengono ghettizzati».

Il tema dell'accoglienza non è nuovo al Papa che, in più occasioni, è intervenuto incoraggiando i governi a ospitare migranti. Ma questa volta il Pontefice va a fondo su un altro aspetto a lui caro, quello dell'integrazione. «Significa entrare nella vita del Paese, rispettare la legge del Paese, rispettare la cultura del Paese ma anche far rispettare la propria cultura e le proprie ricchezze culturali». E l'integrazione, assicura Bergoglio, «è un lavoro molto difficile». Da qui l'invito: «Ogni Paese allora deve vedere quale numero è capace di accogliere. Non si può accogliere se non c'è possibilità di integrazione».

Francesco risponde alle domande a tutto campo che i clochard - sono loro i «giornalisti» del periodico di strada gli hanno posto nell'incontro a casa Santa Marta, in Vaticano. Domandano: si fa fatica, oggi, a mettersi nella scarpe degli altri? «È molto faticoso risponde il Papa - perché spesso siamo schiavi del nostro egoismo. Mettersi nelle scarpe degli altri significa avere grande capacità di comprensione, di capire il momento e le situazioni difficili». Significa «servizio, umiltà, magnanimità che è anche l'espressione di un bisogno».

E a chi gli domanda se è giusto fare l'elemosina, Francesco ribatte: «Un aiuto è sempre giusto. Certo non è una buona cosa lanciare al povero solo degli spiccioli. È importante il gesto, aiutare chi chiede guardandolo negli occhi e toccando le mani.

Buttare i soldi e non guardare negli occhi, non è un gesto da cristiano». Infine, una confessione personale. «C'è una cosa che mi manca tanto ammette il Papa la possibilità di uscire e andare per strada. Mi piace andare in visita alle parrocchie e incontrare la gente».

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