Lo sciopero che tifa per il conflitto

C'è il rischio di un'interferenza in una trattativa dai margini labili e alquanto delicata. Su questo dovrebbero riflettere Landini e i "pro-pal"

Lo sciopero che tifa per il conflitto
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Sicuramente la cosiddetta "flotilla" ha catalizzato l'attenzione su Gaza per cui si può pensarla come si vuole ma ha riscosso un innegabile successo mediatico. E sarebbe ingiusto non riconoscere il sentimento di solidarietà che ha mosso molti dei suoi partecipanti. Dietro certo c'è pure l'impegno politico ma mi domando dove non c'è. Semmai sarebbe stato più logico seguire i consigli della Chiesa e deviare la rotta verso Cipro per recapitare gli aiuti a Gaza usando altre strade ma gli attivisti hanno ceduto alla retorica movimentista, alla nostalgia per altre battaglie pacifiste come quella contro la guerra nel Vietnam. Meno male che gli apparati di Israele si sono ricordati di servire una democrazia gestendo l'epilogo della vicenda con intelligenza senza feriti e particolari incidenti. Né si può stare appresso a chi rimarca la violazione del diritto per l'arrembaggio alle imbarcazioni della "flotilla" in acque internazionali: sarà anche vero ma a chi conosce gli orrori di Gaza appaiono francamente peccati veniali. Pure il ritorno all'impegno testimoniato dalle manifestazioni di solidarietà sulle piazze italiane è un segnale positivo tranne gli episodi di violenza che non aiutano nessuno e men che meno la Palestina. Fin qui il movimentismo. Poi, però, c'è la politica cioè l'unico canale efficace per porre fine alla carneficina a Gaza e riportare gli ostaggi a casa. E un paio di riflessioni sono obbligate. Per la prima volta siamo in presenza di un piano, quello di Donald Trump, che punta alla pace. Il personaggio può stare simpatico o meno, ma la sua proposta ha strappato a Netanyhau un "sì" a denti stretti (facendo infuriare la destra religiosa israeliana) ed è appoggiata dall'autorità palestinese, dall'insieme dei paesi arabi, dall'Europa, dalla Russia, dalla Cina. Insomma da tutti perché ferma il quotidiano stillicidio di vite umane esattamente ciò che desiderano i gazawi che stando sotto le bombe non possono filosofare, né tantomeno essere schizzinosi. Al piano, però, manca il "sì" di Hamas, neppure di tutta ma della parte più intransigente.

L'unica arma efficace per convincere questa organizzazione terrorista a cedere è l'isolamento. Convincerla che non ha altre opzioni perché la comunità internazionale compatta non le concede.

Ebbene, siamo sicuri che le mobilitazioni di queste ore e, soprattutto, lo sciopero generale convocato dalla Cgil domani non diano l'impressione a chi è educato al fondamentalismo religioso e non esclude il martirio come strumento di lotta di avere una sponda? C'è il rischio di un'interferenza in una trattativa dai margini labili e alquanto delicata. Su questo dovrebbero riflettere Landini e i "pro-pal". Non su ciò che succede in Italia che è poca cosa, ma sugli effetti che le loro decisioni e le loro gesta possono avere a Gaza.

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