I più maligni non risparmieranno certo le insinuazioni. L'inedito attacco dello «Stato Islamico» a Barcellona e dintorni coincide, infatti, con la fine del contratto che dal 2011 imponeva ai calciatori del Barcellona si scendere in campo con la scritta Qatar sulla maglietta. Ma se è vero che dalla prossima stagione il Barça metterà i suoi colori a disposizione di uno sponsor giapponese, chiudendo qualsiasi rapporto con il Qatar, è anche vero il contrario. Il 13 novembre 2015 l'Isis non si fece problemi a colpire una Parigi rappresentata negli stadi di tutto il mondo dal Paris Saint Germain ovvero da una squadra controllata a tutti gli effetti dagli emiri di Doha.
Di certo però gli investimenti non proprio irrilevanti degli emiri contribuivano a regalare alla Spagna un illusorio senso d'immunità. Illusorio perché, per usare lo stesso paragone, né il calcio, né - tanto meno - i consistenti e reciproci rapporti d'affari intrattenuti da Parigi con Doha hanno mai garantito la sicurezza dei nostri cugini d'Oltralpe. Certo è però che il Qatar, accusato a più riprese di chiudere entrambi gli occhi sui fondi transitati dal suo sistema bancario ai conti di alcuni sostenitori dello stato Islamico, ha investito non poche risorse nella penisola iberica. L'assetto più discusso, soprattutto dopo le accuse di terrorismo rivolte a Doha da sauditi ed Emirati Arabi Uniti, è il pacchetto di azioni che garantisce alla Qatar Investments Authority il controllo dell' l'8,5 % di Iberdrola, ovvero del più importante gruppo elettrico spagnolo. Un gruppo da cui dipende la gestione di cinque centrali nucleari e otto convenzionali disseminate sul territorio iberico.
Grazie all'acquisizione di quell'8,5 per cento l'emirato è diventato il più importante azionista di uno dei giganti energetici a livello globale. Un gigante inserito a pieno titolo in quell'«Euro Stoxx 50» composto da 50 titoli di otto Paesi europei che rappresenta l'indice delle principali aziende guida, ovvero le «blue chips» dell'Eurozona. E proprio i guadagni garantiti dagli investimenti di un Qatar accusato di collusione con il terrorismo stanno facendo discutere gli spagnoli.
Qualche mese fa alcuni quotidiani e siti iberici, dopo aver preso in considerazione i dividendi derivanti dal controllo del pacchetto azionario di Iberdrola calcolavano che solo nel 2016 quella quota avrebbe garantito entrate per oltre 127 milioni ad uno stato accusato di finanziare lo Stato Islamico.
«Quei 127 milioni - scriveva lo scorso giugno il quotidiano finanziario El Economista - vanno direttamente allo Stato del Qatar che è l'unico azionista di un fondo sovrano accusato di finanziare e appoggiare quel terrorismo islamico che semina terrore e morte in tutto il mondo». Ma oltre ai guadagni bisogna pensare anche alle perdite. E allora sarebbe scorretto dimenticare che la Qatar Investments Authority è anche il maggior azionista, con il 20 per cento dei dividendi, di Iag, il gigante dei cieli da cui dipendono compagnie aeree come British Airways , Aer Lingus e Iberia. Dunque continuando a foraggiare un Isis deciso a colpire al cuore il turismo iberico il Qatar contribuirebbe inevitabilmente ad affossare i propri investimenti.
Certo non sempre, soprattutto nell'irrazionale campo del terrorismo, cuore e testa vanno dalla stessa parte. Anche perché altri concreti, e assai remunerativi, investimenti dell'emirato sono stati riversati negli ultimi anni nell'acquisizione del 10 per cento di El Corte Ingles, la catena di supermercati spagnola al primo posto in Europa per volume d'affari e al quarto nel mondo.
Senza contare gli alberghi a 5 stelle acquisiti dall'emirato lungo tutta la costa spagnola. Insomma se veramente il Qatar è stato, o è tutt'oggi, colluso con lo Stato Islamico, allora le stragi dei fanatici del Califfato rischiano di costargli veramente care.
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