La parata in Rolls Royce del populista Bolsonaro: "Cambieremo il Brasile"

Il nuovo presidente e la sfilata tra la folla su un'auto scoperta: "Grazie a Dio sono vivo"

La parata in Rolls Royce del populista Bolsonaro: "Cambieremo il Brasile"

San Paolo - «Prima di tutto voglio ringraziare Dio per esser vivo: oggi è il giorno in cui abbiamo cominciato a liberarci del socialismo. Riporteremo ordine. Abbiamo un'opportunità unica di ricostruire il nostro Paese e serve un patto nazionale. È una fase di grandi sfide ma anche di enorme speranza. È tempo di lottare contro la corruzione e l'irresponsabilità economica». È con queste parole che Jair Bolsonaro si è insediato ieri come 38mo presidente del Brasile in una cerimonia seguita da migliaia di persone a Brasilia in un clima da stadio ma anche di sicurezza massima che non ha impedito al nuovo presidente di sfilare a bordo di una Rolls Royce su cui ha viaggiato anche la regina Elisabetta.

L'ex capitano dell'esercito, grande vincitore del ballottaggio dello scorso 28 ottobre, con il 55,2 % dei consensi, contro Fernando Haddad del Pt di Lula dà inizio cosi ad una nuova pagina della storia del Brasile che dopo 14 anni di petismo ha scelto una populista svolta a destra, ispirata alla scuola di Chicago, di cui uno dei suoi membri, Paulo Guedes, è appunto il ministro dell'Economia del nuovo governo. Presenti in prima fila per l'insediamento del nuovo «Trump tropicale» il premier israeliano Benyamin Netanyahu e, in rappresentanza del vero Trump che si è complimentato via Twitter con il collega brasiliano dicendo che gli Usa sono con lui, il segretario di stato americano Mike Pompeo, a riprova del nuovo asse che Bolsonaro intende privilegiare a detrimento dei socialismi latinoamericani, grande cavallo di battaglia, invece, dei presidenti petisti a cominciare da Lula. E infatti grandi assenti sono stati Cuba, Nicaragua e Venezuela, invitati e poi disinvitati in un valzer diplomatico mai visto prima d'ora. Per non parlare, poi, dello stesso PT che non si è presentato in segno di protesta contro quello che definisce il «divieto illegittimo alla candidatura dell'ex presidente Lula e dalla manipolazione criminale dei social media per diffondere menzogne contro il candidato Haddad». Presenti invece tra gli altri l'ungherese Orban e per l'Italia, oltre al nostro ambasciatore Antonio Bernardini, il ministro dell'Agricoltura Centinaio.

Nel discorso di insediamento di Bolsonaro nessun dettaglio è stato fornito su quelle che sono le priorità del nuovo governo, ovvero quella riforma previdenziale rinviata alle prossime settimane ma così necessaria per evitare che «il Brasile diventi una nuova Grecia», secondo le parole del nuovo presidente anche se altrettanto impopolare in termini di consenso elettorale. Come del resto già ha dimostrato un sondaggio di DataFolha secondo il quale l'indice di ottimismo degli elettori verso il nuovo governo è al 65%, ovvero il più basso, relativo ai primi mandati, dal 1989 ad oggi. Lula, il primo gennaio 2003, aveva portato a casa il 76%. Tanto che l'ex presidente oggi in carcere per corruzione sul suo Facebook ha così commentato: «Parlare male è facile. Quello che è difficile però è fare meglio». Di certo il Brasile che Bolsonaro eredita da 14 anni di PT non è solo un Paese in crisi economica e occupazionale ma un far west dove la sicurezza è diventata un'emergenza nazionale con 64 mila omicidi nel solo 2017. Da qui la scelta di Bolsonaro di creare da un lato un super ministero della Sicurezza con a capo come ministro l'ex magistrato Sergio Moro, l'icona della Lava Jato, la Mani Pulite brasiliana, per combattere crimine organizzato e corruzione. Dall'altro, in una dicotomia che appare schizofrenica, le dichiarazioni radicali del nuovo presidente sulla liberalizzazione delle armi. Pochi giorni fa ha annunciato che autorizzerà con un decreto il porto d'armi libero per i cittadini privi di precedenti penali, eliminando tutte le restrizioni attualmente esistenti.

Dichiarazioni, queste, in linea anche con lo zoccolo duro dei suoi elettori, un mix di latifondisti, imprenditori ed esponenti dei gruppi evangelici più conservatori del paese cui si uniscono 7 ministri del nuovo governo tutti militari.

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