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Parigi sarà "perdonata". La Francia non è l'Italia

I mercati non puniscono le nuove misure francesi Il nostro Paese è considerato sei volte più pericoloso

Parigi sarà "perdonata". La Francia non è l'Italia

Potrà non piacere ma alla fine sono sempre i mercati a fare la differenza. Lunedì sera Emmanuel Macron ha annunciato spese aggiuntive per 10 miliardi, che nel 2019 peseranno sul deficit statale della Francia per un altro 0,5%. Ieri il mondo finanziario ha accolto le nuove misure più con l'aria del brindisi che della punizione: la Borsa di Parigi è stata con Francoforte tra le migliori d'Europa (a fine giornata +1,35%); lo spread tra i titoli di Stato francesi e tedeschi è aumentato e non di poco, oltre il 5%, ma si è sempre mantenuto sotto quota 50. Se il differenziale con i Bund è la misura del rischio percepito di un Paese, l'Italia è considerata un pericolo sei volte più grande, visto che la distanza si mantiene vicina a quota 300.

Basterebbe solo questo dato per rendere con immediatezza le disparità tra le due situazioni. Eppure, per l'intera giornata, le dichiarazioni degli esponenti del governo giallo-verde hanno avuto il tono di chi festeggia un regalo inaspettato. Da Giorgetti a Di Maio, da Fraccaro al presidente della Commissione Bilancio della Camera Claudio Borghi, tutti hanno espresso lo stesso concetto: se i francesi non rispettano la regola sul deficit, non si vede perchè dobbiamo farlo noi.

Il vice premier Di Maio ha aggiunto un tocco di vittimismo che ben si addice al personaggio: «Parigi non dovrebbe rispettare i parametri e dunque si dovrà aprire un caso Francia, se le regole valgono per tutti. Ma non è quello che ci aspettiamo».

In realtà proprio questo accadrà: accanto alla procedura contro l'Italia sarà avviata anche una procedura contro Parigi, visto che con i nuovi esborsi il deficit francese potrebbe avvicinarsi a quota 3,5% in rapporto al Pil. Ne ha parlato il tedesco Manfred Weber, presidente del gruppo del Ppe nell'Europarlamento e Spitzenkandidat per la guida della Commissione Europea: «Le regole sono vincolanti per tutti», ha detto. Lo hanno confermato il vicepresidente Valdis Dombvrovskis e il commissario agli affari economici Pierre Moscovici: «Seguiremo con attenzione l'impatto degli annunci fatti dal presidente Macron sul deficit e sulle sue modalità di finanziamento. E siamo pronti ad agire quando gli annunci si trasformeranno in atti concreti».

Ma il concentrarsi sugli aspetti formali della questione da parte degli esponenti del governo italiano e la falsa equiparazione tra Italia e Francia mettono bene in evidenza la miopia (deliberata o involontaria) con cui il vertice leghista e quello grillino hanno affrontato l'intero problema della legge di bilancio. Nessuno, in Europa o altrove, pensa che la Francia possa saltare per aria, trascinando nel baratro le economie del vecchio Continente. In parecchi, a cominciare dal Fondo monetario Internazionale, sono convinti che la situazione italiana sia una delle grandi incognite che pesano sul futuro. Ed è questo, oltre che la violazione di accordi formali, a giustificare la preoccupazione di Bruxelles, in aggiunta a quella di migliaia di investitori nel mondo.

Pesa, come ovvio, l'eterno problema del debito. E anche su questo aspetto le differenze con Parigi saltano all'occhio: da quelle parti è pari al 100% del Pil, tenendo conto anche delle misure annunciate da Macron; da noi il 132% circa, sempre che i numeri dell'ancora inesistente manovra non si rivelino più farlocchi del previsto. Ma a incidere è anche un elemento più imponderabile, il tema della direzione di marcia e della sensatezza di un'intera azione di governo. Ne ha fatto cenno ieri il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. L'Italia è messa male, ha detto, perchè «da noi regna sovrana la confusione, non si capisce chi comanda».

Le misure di sostegno sociale messe in cantiere da Macron si inseriscono in un contesto di razionalità economica. Non un'istituzione, non un singolo centro di ricerca sono riusciti a trovare un senso compiuto nella «manovra del popolo».

Del popolo ma soprattutto della propaganda e delle frasi fatte.

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