Cattolici senza Parlamento. La Democrazia Cristiana per tutti i 50 anni di Prima Repubblica. Poi dal '94 in poi il Ppi e il Ccd, il Cdu, l'Udc, in parte Scelta Civica, e nelle Camere senza passare dalle urne l'Ncd di Alfano. Il tutto accompagnato da un eterno sogno: la ricomposizione del centro cattolico come baricentro politico, in sostanza la ricostituzione della Balena Bianca.
Questa volta, con le elezioni che si avvicinano a tamburo battente, le prospettive sono ben diverse. Perché basta una soglia del 5%, una barriera certo non insormontabile, per accendere i riflettori sulla crisi di rappresentanza dei cattolici italiani e di partiti e partitini che sui valori non negoziabili hanno dimostrato, governo dopo governo, di essere disposti a negoziare senza mai mettere davvero a rischio la permanenza al governo. Il risultato? La prospettiva pressoché sicura del primo Parlamento nella storia repubblicana senza sigle con riferimento diretto alla tradizione cristiana, se non inglobate dentro altri partiti.
Naturalmente se il cattolicesimo in politica è in crisi e l'unità politica appare ormai una chimera, restano i cattolici in politica. Nelle Camere ci sono parlamentari dichiaratamente cattolici e molto attivi come Maurizio Gasparri, Francesco Giro, Giorgia Meloni (schierata in passato contro la deriva laicista di Gianfranco Fini), Antonio Palmieri, Gianfranco Rotondi con la sua Rivoluzione Cristiana, Gaetano Quagliariello con Idea, Fabrizio Di Stefano, Francesco Aracri, Gian Marco Centinaio, Massimiliano Fedriga, Maurizio Lupi, Raffaello Vignali, Paola Binetti, Lucio Romano, e anche Caterina Bini e Rosa Maria Di Giorgi del Pd. Sono loro l'avanguardia di ciò che resta dello schema Ruini, ovvero la presenza di cattolici in tutti gli schieramenti. La loro azione a difesa dei principi non negoziabili e dei valori antropologici, contro divorzio lampo, eutanasia, adozioni gay, equiparazione tra unioni civili e matrimoni, ideologia gender, liberalizzazione delle droghe leggere ha fornito risultati altalenanti. Alla prova dei fatti, soprattutto nel centrosinistra, l'appartenenza di partito o la logica di governo hanno finito per prevalere su azioni trasversali. Un intervento convincente è arrivato sulla legge Cirinnà con l'eliminazione della «stepchild adoption», l'adozione del figlio biologico del partner. Tuttavia l'ampio spazio lasciato alla magistratura sul tema delle adozioni per le coppie gay ha depotenziato l'azione di revisione legislativa.
Al netto delle considerazioni su partiti e partitini di ispirazione cattolica, il rischio della marginalizzazione esiste. Tanto più che molti cattolici impegnati in politica fanno sempre più fatica a manifestarsi e nuotare controcorrente. Da presidente della Cei il cardinale Ruini coniò il motto «meglio contestati che ininfluenti». Oggi i cattolici rischiano di non essere contestati e neppure influenti.
Questa situazione apre, però, scenari interessanti per il centrodestra e per chi, come Forza Italia, rivendica l'appartenenza al popolarismo europeo. «Per noi è motivo di riflessione e una opportunità importante per comunicare la nostra identità di casa dei cattolici liberali europei.
Di sicuro i governi Berlusconi, grazie anche al prezioso lavoro di raccordo di Gianni Letta, diedero molta più cittadinanza alle istanze cattoliche di qualsiasi altro governo. Oggi sta a noi tornare a essere un punto di riferimento».
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