Politica

La partita di Di Maio per lasciare SuperMario a Chigi

I grillini temono che l'obiettivo di Conte siano le urne anticipate. Anche il Pd è scettico sull'ex Bce al Colle, adesso Letta temporeggia

La partita di Di Maio. Guida il fronte contro le elezioni e punta a lasciare SuperMario a Chigi

Partita la corsa, cominciato il grande gioco del Quirinale, ecco i messaggi criptati, le sfumature da cogliere per individuare le faglie che dividono i partiti, in un Parlamento balcanizzato come non si vedeva da decenni. La scintilla che accende un dibattito caratterizzato da inevitabili bizantinismi è il nome di Mario Draghi. Lui resta in silenzio, ma il suo possibile trasloco al Colle sta iniziando a polarizzare le posizioni. Ben sapendo che resta improbabile un prosieguo della legislatura con l'ex governatore della Bce come nuovo Capo dello Stato.

Giuseppe Conte ha già provato a lanciare la candidatura del premier, tentando di proporre una soluzione ponte che consenta di arrivare al 2023. Un'ipotesi volta a tranquillizzare i parlamentari che temono di non raggiungere lo scatto della pensione a settembre del 2022. Una linea velleitaria per molti, perché difficilmente l'arrivo di qualcun altro a Palazzo Chigi riuscirebbe a tenere insieme una maggioranza di unità nazionale. Un tranello per andare al voto in primavera, per i beninformati che pensano che Conte voglia solo le elezioni anticipate. Così Luigi Di Maio, ex capo politico del M5s, in un'intervista a La Stampa non ha potuto schivare la domanda. Il ministro degli Esteri dice che il voto sarebbe «semplicemente sbagliato». Perché «vorrebbe dire bloccare la ripresa del Paese». Per alcuni osservatori queste parole delineano un posizionamento diverso rispetto agli spifferi che vorrebbero il leader M5s lanciato verso le politiche sfruttando l'elezione di Draghi al Quirinale. Comunque, a differenza dell'avvocato, il ministro grillino non scopre le carte sull'attuale premier. E quando gli si chiede conto dell'endorsement di Conte sull'ex numero uno della Bce alla presidenza della Repubblica replica che «su questo ovviamente risponde Giuseppe». Per poi aggiungere che «Draghi ha tutto il nostro supporto per quello che sta facendo» e concludere il discorso precisando: «Non ho nessuna intenzione di entrare nel toto-Quirinale».

Sfumature diverse che potrebbero rivelarsi decisive. Perché Di Maio controlla un cospicuo pacchetto di parlamentari stellati che seguiranno le sue direttive e non vogliono andare a votare. Di fronte alla frammentazione del suo partito, Enrico Letta è sempre più scettico sull'opportunità di spedire Draghi sul Colle. Nel Pd il correntone di Base Riformista, animato da ex renziani, sponsorizza un secondo mandato del Presidente del Consiglio dopo il voto nel 2023. Letta temporeggia. Nell'ultima direzione nazionale del partito ha rinviato ogni discussione sul Quirinale a dopo la legge di bilancio. «Quindi avanti con il governo Draghi», ha indicato la strada. Matteo Renzi non si sbilancia, ma preferirebbe mantenere il premier a Chigi e i suoi parlamentari sono spaventati dalle urne. Un rischio che nessuno vuole correre: dal Gruppo Misto alla galassia centrista passando per i peones di tutti i partiti. Anche Carlo Calenda spinge per continuare con Draghi capo del governo.

E se ancora nel Movimento non si sono palesate le divisioni, sicuramente i toni usati dai diversi esponenti sono la spia di strategie potenzialmente contrapposte. Nessun grillino di rango appoggerebbe mai Silvio Berlusconi, ma il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà - non ostile a Conte - bolla il leader di Forza Italia come «invotabile», anche in ottica Draghi ed elezioni anticipate.

Per Di Maio l'ipotesi - Berlusconi è «improbabile».

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