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Così il partito anti sistema si è incartato sulla burocrazia

I 5S volevano aprire il Parlamento "come una scatoletta di tonno". Si sono invischiati in una lotta a suon di cavilli che rischia di sancirne la fine

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Sono entrati in Parlamento nel 2013 impugnando un apriscatole per aprirlo "come una scatoletta di tonno" e scardinare il sistema politico dall'interno. E invece, oltre otto anni dopo si ritrovano accartocciati su loro stessi, vittime di spire burocratiche che loro stessi hanno creato.

Ricapitoliamo brevemente cosa è successo. C'è uno statuto che, nonostante i continui ritocchi per plasmarlo alle esigenze di partito, ingabbia chiunque voglia partecipare attivamente al Movimento. Non basta essere attivisti, simpatizzanti o persino ex premier "di bandiera". Chi non è iscritto (e da almeno sei mesi, sia ben chiaro), non può aspirare ad alcun ruolo. Non può nemmeno candidarsi alle Comunali di un piccolo centro, figuriamoci entrare nel comitato direttivo o (auto)proclamarsi leader. Lo statuto è stato uno dei fondamenti del Movimento stesso, l'atto costitutivo firmato da Beppe Grillo che più volte in passato lo ha sventolato quando chiamato a decidere delle diatribe interne sia prima da capo politico sia ora da Garante.

Poi c'è una legge, quellla sulla tutela della privacy, che stabilisce le regole per la raccolta dei dati personali. Dopo varie ramanzine da parte del garante per la privacy, con la nascita dell'Associazione Rousseau il Movimento si è messo in regola: titolare del trattamento dei dati è l'associazione stessa (che fa capo a Casaleggio) in nome e per conto del M5S. Ora, con il divorzio ufficializzato nelle scorse settimane, la situazione si complica. Il titolare per legge resta l'associazione Rousseau, anche se quei dati "appartengono" agli iscritti al movimento.

E qui si innesta l'altro problema: chi è il legale rappresentante del M5s? Non è più Beppe Grillo (ora solo Garante), non è più Luigi Di Maio (che si è dimesso a gennaio 2020 dopo gaffe e inciampi), non è Vito Crimi (capo politico ad interim dopo il passo indietro di Giggino). A fine 2020, quando la caduta di Conte non era neanche ipotizzata, la tanto decantata democrazia diretta ha sancito il ritorno alle origini con un nuovo direttorio in grado di "spersonificare" il movimento. Ma non c'è stato tempo di nominarlo. Il banchetto davanti a Palazzo Chigi da venditore di pentole ha costretto Grillo a ridisegnare un ruolo per l'ex premier che nel frattempo era diventato il volto dei 5Stelle di governo. Peccato che l'Avvocato del Popolo non abbia titoli per mettersi alla guida del partito. Né può essere - in punta di diritto - nominato tra i membri del direttorio. Nel frattempo una sentenza del tribunale di Cagliari ha nominato un curatore che comunque non ha alcun titolo per ottenere gli elenchi richiesti. "Il Garante indica di consegnare genericamente i dati al MoVimento 5 Stelle, ma non indica chi sia la persona che riveste il ruolo di rappresentante legale, quindi il legittimo titolare dei dati al quale Rousseau può consegnarli", dicono dall'associazione.

E poi c'è la questione dei soldi, i famigerati rimborsi da parte degli eletti. Nell'ultimo anno la linea è diventata sempre più morbida (nessuno ha più rischiato seriamente l'espulsione per questo). Dando così a Casaleggio "l'arma" per tenere in ostaggio i dati un suo possesso. Persino ora che è lo stesso Garante della privacy a sostenere che i database spettino al Movimento e non all'Associazione Rousseau, l'imprenditore si appella al "dovere di onorare gli impegni presi".

Il vortice continua ad avvitarsi su se stesso: Conte, leader in pectore che non può essere nominato, è solo l'ultimo dei paradossi burocratici di un movimento ipernormato. E pensare che quando erano a Palazzo Chigi promettevano di cancellare almeno 400 leggi..

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