Riparte il conto alla rovescia per le nomine Rai, uno dei giri delle poltrone che contano e che cadono sotto il governo di Mario Draghi. Lunedì 12 luglio è in calendario l'assemblea Rai slittata un mese fa. Essendo il capitale detenuto al 99,6% dal ministero dell'Economia (Siae ha 0,4%), i nomi di presidente e amministratore delegato, che spettano al governo, sono attesi il giorno stesso o poco prima, nello stile Draghi, già visto in pratica con i rinnovi dei vertici di Fs e Cdp. Altri 4 consiglieri arriveranno da Camera e Senato, nelle sedute di mercoledì 7. Mentre il settimo è Riccardo Laganá, appena confermato dai dipendenti dell'azienda. Il bersaglio grosso è il ticket indicato dal Mef, con il paletto della parità di genere: nei ruoli di presidente e ad ci saranno un uomo e una donna, o viceversa. Il metodo Draghi vuole che, di fronte a una short list, sia il premier ad avere l'ultima parola. E qui il gioco diventa sottile perché l'azienda Rai non è uguale alle altre: insieme ai nomi ci si attende anche una svolta di governance.
Quello a cui Draghi e i suoi consiglieri vorrebbero metter mano è l'aspettativa: la prassi per cui alla Rai, se per un ruolo apicale a tempo determinato viene scelto un dirigente interno, questi ottiene di poter andare in aspettativa, per delibera dello stesso cda in cui è nominato. Mantenendo gli accessori retributivi del ruolo e tornando, al termine del mandato, a fare il dirigente. Un assurdo nel mondo societario, dove di norma l'ad di nomina interna dà le dimissioni: solo così potrà svolgere il ruolo libero da ogni condizionamento. Mentre, al contrario, un manager in aspettativa non potrà mai agire liberamente nelle nomine, nelle riforme, nelle scelte da effettuare all'interno della stessa struttura e tra gli stessi uomini dove tornerà presto a lavorare. Il sistema dell'aspettativa, in fin dei conti, è tra le fondamenta del «Partito Rai», quel coagulo di gestione che si muove su presupposti di solidarietà, equivalenti in realtà all'essere inamovibili.
Interessati alla questione sono i due candidati interni più gettonati per la carica di ad: Paolo Del Brocco, ad di Rai cinema, apprezzato nel Pd, e Marcello Ciannamea, capo dei palinsesti, considerato vicino alla Lega. Se la politica dovesse arrivare fin qui, dovrà però rinunciare al bengodi dell'aspettativa, su cui Draghi sarebbe pronto a mettere il veto. Se invece il premier sceglierà un capo azienda esterno, i nomi arrivati al Mef anche tramite Egon Zender (cacciatore di teste) sono quelli di Raffaele Agrusti, ex dg di Generali e già direttore finanziario Rai con Campo Dall'Orto nel 2016 e poi presidente Rai Way, e Adriana Perrazzelli, nel direttorio di Bankitalia e per questo vicina a Draghi-Franco per definizione.
In ambito «di settore» ci sono gli ex Discovery Andrea Castellari e Marinella Soldi, e Laura Cioli, già ai vertici di Rcs e di Gedi, ma con risultati contrastanti. Per un ruolo di presidente di garanzia girano i nomi di Tinni Andreatta, considerata Dem, e quello dell'attuale consigliere Gianpaolo Rossi, in quota Fratellli d'Italia.
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