A ltro che libera. Altro che assolta. Asia Bibì in realtà è stata surrettiziamente condannata a morte. E per farlo il Pakistan ha scelto la via più subdola e ipocrita. Da una parte ha fatto credere al mondo che il manipolo di giudici coraggiosi guidati dal presidente della Corte Suprema Saqib Nisar potesse assolverla invocando «la tolleranza come principio base dell'Islam». Dall'altra il governo del premier Imran Khan ha stretto un patto infame e scellerato con chi la vuole morta infliggendole, nei fatti, una condanna extra giudiziale. La notizia del patto con gli islamisti è emersa nelle scorse 48 ore quando è venuto alla luce l'accordo firmato con i vertici del Tlp (Tehreek-i-Labaik Party) il partito fondamentalista responsabile della mobilitazione di centinaia di migliaia di dimostranti che nei giorni scorsi hanno paralizzato le principali città del Paese invocando una revisione della sentenza di assoluzione.
In base ai cinque punti dell'intesa il governo s'impegna a vietare alla donna di lasciare il Pakistan e a non bloccare la revisione della sentenza di proscioglimento richiesta da Qari Salam, uno degli imam integralisti che ispira i militanti del Tlp. In base all'accordo verrà garantita persino l'incolumità a chiunque abbia partecipato alle proteste, anche violente, di questi giorni. La richiesta di revisione del processo, secondo quanto ha rivelato da Chaudhry Ghulam Mustafa, uno degli avvocati del movimento islamista, è stata depositata giovedì a Lahore. «Temiamo che Asia Bibi venga portata all'estero e per questo abbiamo chiesto al tribunale di affrontare in fretta il suo caso. Ci batteremo e useremo ogni risorsa legale ha spiegato il legale - per garantire che venga impiccata». La legge invocata dagli estremisti è quella della cosiddetta «legge nera» sulla blasfemia. In base a quella legge Asia Bibi, colpevole soltanto di esser cristiana e di rifiutare la conversione, si è già fatta nove anni di galera. La detenzione le offriva, però, una relativa sicurezza visto che un assassinio tra le sbarre avrebbe definitivamente incrinato la credibilità di Islamabad.
Un rilascio non accompagnato dalla possibilità di riparare all'estero la espone invece alla certezza, quasi matematica, di cadere vittima di un attentato. Anche perché l'esperienza insegna che chiunque abbia tentato di aiutarla o difenderla ha pagato con la vita il proprio coraggio. Il 4 gennaio 2011 toccò al governatore del Punjab Salmaan Taseer, un musulmano colpevole di contestare la legge sulla blasfemia e opporsi all'incriminazione di Asia Bibi. Il 2 marzo 2011, meno di due mesi dopo, i killer islamisti crivellarono di colpi il ministro per gli affari delle Minoranze Shahbaz Bhatty, un cristiano che si batteva per difendere dalle persecuzioni Asia Bibi e tutti i correligionari cristiani. A confermare la pericolosità della situazione s'aggiunge la fuga dal Paese dell'avvocato di Asia Bibi. Mentre si diffondeva la notizia del patto scellerato tra governo e islamisti Saif ul-Mulook, il legale responsabile da oltre dieci anni della difesa di Asia Bibi, faceva sapere di non sentirsi più al sicuro e di esser pronto a partire. L'avvocato ul-Mulook grazie alla sua conoscenza della materia aveva svolto un ruolo centrale anche nel corso delle discussioni davanti alla corte Suprema conclusesi con la sentenza di assoluzione. Dopo la sentenza il governo gli aveva affidato una scorta, ma questo non è bastato a rassicurarlo. Una sfiducia comprensibile visto che il governatore del Punjab Taseer era stato fatto fuori proprio da una delle guardie incaricate di garantire l'incolumità.
«Per continuare questa battaglia giudiziaria e garantire la difesa a Bibi devo riuscire a restare vivo, ma nello scenario attuale sopravvivere in Pakistan è alquanto complesso» ha dichiarato il legale prima di imbarcarsi su un aereo.
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