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"Il patto Stato-mafia ci fu". I forcaioli non accettano l'assoluzione di Mannino

Travaglio e Ingroia snobbano la sentenza del tribunale e parlano di mezza vittoria: «Era un verdetto annunciato»

"Il patto Stato-mafia ci fu". I forcaioli non accettano l'assoluzione di Mannino

«Il fatto sussiste», titola Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano . «Patto Stato-mafia. La prima sentenza assolve Mannino», apre il Corriere della Sera : titolo corretto perché è davvero la prima sentenza sul patto Stato-mafia; ma è un titolo che a una lettura distratta induce all'equivoco, sembra quasi che si tratti di una prima assoluzione cui seguiranno sentenze di segno opposto. E poi c'è il padre del processo sulla trattativa, l'ex pm Antonio Ingroia che per minimizzare la sconfitta parla di «mezza vittoria perché il reato sussiste», visto che l'assoluzione dell'ex ministro «per non aver commesso il fatto» è arrivata col cosiddetto comma 2, la vecchia insufficienza di prove.

Il day after della sentenza Mannino è il giorno di quelli che non si arrendono. Troppo pesante il colpo che il verdetto ha inferto a uno dei cardini su cui si fonda l'intero teorema del patto Stato-mafia: la paura dei big siciliani della Dc dopo l'uccisione di Salvo Lima, il 12 marzo del '92. L'assoluzione di Mannino, quali che siano le motivazioni, scippa al processo dei processi in corso a Palermo (udienza anche ieri, all'indomani della bocciatura) un elemento fondamentale: il movente. Perché se Mannino è innocente - ed è questo che dice la sentenza - non ci fu la mobilitazione di Mannino che avrebbe spinto i vertici dei carabinieri a contattare l'ex sindaco Vito Ciancimino perché facesse da tramite coi boss per lo stop alle stragi. Il “la” alla trattativa.

Cade il movente ma quelli che non si arrendono non mollano. E va in scena il doppiopesismo delle sentenze. Di solito si rispettano, ma quelle che non piacciono si commentano e si smontano. Senza aspettare le motivazioni. «È una sentenza annunciata», dice Ingroia, che da pm il processo l'ha cominciato a costruire all'indomani delle stragi, con il celebre fascicolo sui «Sistemi criminali» finito in flop con l'archiviazione nel 2001: «Questa sentenza – dice – ha assolto Mannino però ha riconosciuto la sussistenza della trattativa come fatto di reato, poi bisogna individuare i responsabili, se ci sono...». E poi l'atto d'accusa: «Nessuno, in Italia e soprattutto dentro le istituzioni politiche e giudiziarie, voleva questo processo che ha creato grattacapi e persino conflitti con il Quirinale». Come se fosse normale intercettare un capo dello Stato in carica e trascinarlo sul banco dei testimoni, come è avvenuto con Giorgio Napolitano. Le sentenze si rispettano, tranne quelle che non piacciono. Scrive il direttore Travaglio nel suo fondo di ieri, in cui replica a Mannino che lo ha definito «guitto»: «A me interessano poco i reati e molto i fatti, scolpiti nella cronaca e nella storia a prescindere dal giudizio dei tribunali sulla loro rilevanza penale».

Le sentenze si rispettano a corrente alternata. E ondivagante è anche il silenzio dei magistrati di fronte alle sentenze. Il pm Di Matteo ha replicato a Mannino sul processo flop per la strage di via D'Amelio sottoposto a revisione: «Fiero delle condanne per Borsellino».

Ma Mannino, ospite ieri a Porta a Porta , rilancia: «Inopportune le dichiarazioni del pm, mi rivolgerò al Csm».

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