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Il Pd adesso ricatta Gentiloni: "Sullo ius soli serve la fiducia"

Affondo di Orfini: senza si ammazza la legge. E Grasso rilancia: "Va posta". Il premier: "Si farà entro l'autunno"

Il Pd adesso ricatta Gentiloni: "Sullo ius soli serve la fiducia"

Dov'eravamo rimasti? A un governo sfibrato, demoralizzato, esposto a ogni colpo di vento o (persino) corrente. A ogni ricatto, posto da chiunque. Come Svp sui collegi elettorali del Trentino-Alto Adige. Come Mdp, lesto ad approfittare della crepa aperta dallo scellerato patto siciliano Renzi-Alfano, che ha come poste di gioco legge elettorale e ius soli.

Ma ora la situazione precipita e s'ingarbuglia attorno al partito che, avendo sede al Nazareno, forse ritiene d'essere «eletto» dal Signore al punto di trattare gli italiani da deficienti. Chiara era la volontà politica del Pd di frenare sullo ius soli, tema sgradito al cespuglio alfaniano (di sicuro fino al voto in Sicilia). Chiara e lampante la scelta renziana di lavarsene le mani, mettere una distanza abissale tra se stesso e quella che veniva, improvvisamente la scorsa settimana, rubricata a «decisione del premier Gentiloni». Palazzo Chigi ne ha tratto le debite conseguenze, come ogni governo è chiamato a fare rispetto al proprio partito di riferimento. Ma quando il ministro Delrio ha dato sfogo al proprio risentimento, e il leader (ex tutor di Delrio) lo ha scaricato in men che non si dica, la situazione è diventata kafkiana o farsesca che dir si voglia. «Noi siamo con Gentiloni», si baloccava Renzi con l'ex fedelissimo (ormai dato per ribelle, per connivenze ripetute con Pisapia). Ma il peggio è arrivato ieri, quando il presidente del Pd, Matteo Orfini, quello che ormai somiglia al personaggio delle farse che deve fare la figura del cattivo (in alcune, dello scimunito), è intervenuto su Facebook per strigliare e ricattare a sua volta il governo. La misura s'è colmata, lo scontro dentro il Pd ha assunto dimensioni deflagranti. «Nei mesi in cui sono stato reggente del Pd - la prendeva alla larga maestrin Orfini -, spiegai con chiarezza che l'unico modo per approvare lo ius soli al Senato è mettere la fiducia... Portare in aula il testo senza la garanzia che venga posta la fiducia significa ammazzare lo ius soli... Quindi quella scelta non è un atto di paura... Ai ministri che chiedono di accelerare, suggerisco di lavorare più rapidamente per sciogliere il nodo fiducia. Perché è proprio a loro che compete la decisione. Suggerisco a tutti di dare una mano, magari evitando polemiche inutili, almeno su questo».

L'incredibile intemerata che Renzi non s'è sentito di fare a chi gli ha tolto più di una volta le castagne dal fuoco (che sia Delrio o Gentiloni), viene assegnata al presidente Orfini, che esegue con consueto sprezzo del pericolo e, soprattutto, del ridicolo (d'altronde l'aveva detto, D'Alema, che «non ha il pelo sullo stomaco, bensì una foresta amazzonica»). Le conseguenze si possono ben immaginare. Il premier Gentiloni, ulteriormente umiliato dal proprio partito, assicurava da un vertice italo-greco che «l'impegno che abbiamo descritto alcune settimane fa rimane, è un lavoro da fare, l'autunno non è ancora finito». È dalla postilla - «non devo ricordare quando comincia e finisce l'autunno, è una consapevolezza acquisita...» - trapela tutto il suo disappunto. Nel frattempo, i presidenti di Camera e Senato entravano pesantemente nelle dinamiche parlamentari sollecitando la legge («Entro fine anno? Io ci credo, la fiducia è importante metterla», diceva Grasso).

Ma l'alfaniano Lupi garantiva invece che «i ministri di Ap non sosterranno mai una fiducia sullo ius soli». Il Pd, una volta in più nel marasma, si divideva tra chi conta i voti al Senato e chi teme che, come dice Gasparri, «lo ius soli sarà la tomba politica del Pd».

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