Pd, barricate "a tempo" Poi è pronto il piano B: trattare col centrodestra

Resta il no ai grillini. Tra i renziani si fa largo l'ipotesi di un esecutivo europeista e riformista

Pd, barricate "a tempo" Poi è pronto il piano B: trattare col centrodestra

C'è chi, come il ministro Andrea Orlando, esce allo scoperto per dire che «il dialogo» con i Cinque Stelle è «doveroso», e che il Pd, se proprio vuole stare all'opposizione, deve «decidere se facciamo un'opposizione da destra o da sinistra».

C'è Dario Franceschini che ha chiesto di rivedere la linea dell'opposizione e del «facciano loro» teorizzato da Matteo Renzi, e di far discutere i parlamentari sulle varie opzioni (richiesta respinta dal «reggente» Martina e dai capigruppo, che hanno fatto notare come sia inutile mettere il carro Pd davanti ai buoi delle consultazioni). E ci sono i renziani che alzano il fuoco di sbarramento contro la corrente della Trattativa coi grillini: «Possiamo chiudere qui un dibattito che non ha nessun possibile sviluppo? Il Pd non sosterrà mai nessun governo del M5S o Lega-M5s. La linea che porteremo la prossima settimana al Colle è quella votata praticamente all'unanimità dalla direzione: opposizione», dice il capogruppo al Senato Andrea Marcucci, e una sfilza di altri esponenti vicini all'ex segretario.

In realtà, però, si tratta di una serie di posizionamenti di facciata, ad uso puramente interno: quasi nessuno pensa seriamente di aprire una linea di credito a Di Maio e ai suoi capi. Lo stesso Franceschini spiega ai suoi interlocutori che «non mi passa per la testa di proporre un appoggio esterno o interno al governo grillino: faremmo solo un favore a Di Maio aumentando il suo potere contrattuale con Salvini». Né in verità i renziani pensano all'opposizione comunque e per sempre: tra loro c'è chi autorevolmente ragiona sul fatto che, in tempi lunghi, se l'opzione Di Maio-Salvini si bruciasse potrebbe nascere un governo di centrodestra e il Pd potrebbe giocare le sue carte per trattare su un programma «europeista» e di riforme. E i tempi lunghi sono esattamente quelli che il Quirinale sta progettando come mezzo per «sfinire» i protagonisti della crisi e portarli a secernere un accordo di governo. Contando sul fatto che, nel frattempo, a presidiare il paese c'è comunque un sempre più impaziente (di andarsene) Gentiloni.

Ad alimentare diatribe e posizionamenti su governo o opposizione nel Partito democratico, e a rendere irrequieti i vari Franceschini e Orlando, al momento, è una questione tutta interna: i big dem si sono resi conto che, sia pur sconfitto e dimissionario, a dettare la linea dentro il partito è sempre Renzi, grazie al forte potere di interdizione che gli danno i suoi numeri nei gruppi parlamentari, e grazie all'assenza di un leader alternativo.

Lo si è visto anche nella battaglia sui capigruppo: il massimo che il fronte non-renziano (che non voleva Marcucci) e le estenuanti mediazioni di Martina sono riusciti ad ottenere è stato di cambiare Guerini con il suo «gemello» politico Delrio, e l'acclamazione del medesimo Marcucci. Un pugno di mosche. E i tempi lunghi delle consultazioni produrranno l'effetto inevitabile di rinviare l'Assemblea nazionale (a maggio, forse), con Martina che fa il reggente e Renzi che decide.

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