
Non ha dubbi: "Vai sul lato francese del traforo e non c'è un poliziotto, poi arrivi in Piemonte e ti imbatti in manifestazioni violente, come quella di sabato, che si ripetono da anni. In un Paese normale tutto questo sarebbe finito da tempo, invece da noi si è quasi istituzionalizzato".
Stefano Esposito, ex senatore del Pd, convinto Si Tav sin da quando le voci a favore dell'Alta velocità Torino-Lione a sinistra erano poche, non fa sconti a nessuno.
Perché questa opposizione alla Tav?
"I No Tav con l'ambiente c'entrano poco. In realtà si tratta di un movimento ideologico che combatte contro lo Stato e ha scelto il treno come pretesto e la Val di Susa come palestra per le proprie azioni. I protagonisti sono sempre gli stessi: spezzoni della sinistra radicale e degli antagonisti".
Il Pd?
"Ho avuto scontri violentissimi con autorevoli esponenti del partito che puntavano il dito, contro la Tav. Da Emiliano a Renzi, un giovane Renzi che poi, per fortuna, da presidente del Consiglio ha cambiato idea. Fra i favorevoli ricordo Sergio Chiamparino, Piero Fassino, Mercedes Bresso, Antonio Saitta. Nessun altro, poi arrivò Andrea Bersani, allora segretario del partito, e disse: Siamo favorevoli all'Alta velocità".
Lei fu anche minacciato dai No Tav.
"E infatti per sette anni ho avuto la scorta. Mi sono esposto e sono stato isolato, poi anche indagato per una vicenda di corruzione che come tutti sanno è finita in nulla, con la clamorosa sconfessione delle tesi della procura".
Oggi i No Tav che peso hanno?
"La gran parte viene da fuori e leggo finalmente le dichiarazioni dei sindaci di Venaus e Susa che dicono: Attenzione, la violenza ci danneggia e mette in crisi le nostre battaglie. Finalmente, si accorgono di essere utilizzati, strumentalizzati, manovrati per una battaglia politica".
Come è possibile che le aggressioni e i vandalismi contro il cantiere continuino da anni?
"Non credo che troverà una dichiarazione di condanna delle violenze da parte dei 5 Stelle o di Avs. Pure dentro il Pd, imbarazzo e silenzio vanno a braccetto. Poi ci sono anche le tensioni dentro la magistratura piemontese".
In sintesi?
"L'allora procuratore Gian Carlo Caselli fu duramente attaccato da alcuni colleghi che avevano simpatia per i rivoltosi. Io credo che questi attacchi siano organizzati in modo chirurgico. È tutto pianificato nei minimi dettagli, ma le sentenze parlano di spontaneismo, a marzo a Torino sono arrivate 18 condanne per quelli del Centro sociale Askatasuna ma è caduta l'associazione per delinquere. Così in un modo o nell'altro, questa storia va avanti, avanti da troppo tempo.
Anche se tutti sanno chi sono i violenti ed è difficile, davvero difficile sostenere che i facinorosi si siano mossi quasi per caso, mentre partecipavano al Festival dell'Alta Felicità che forse non dovrebbe più tenersi. La tolleranza alla lunga diventa complicità".